martedì 27 agosto 2019

leggere scrivere e noi attorno


Ci sono storie e storie e ci sono poi intrecci di storie.
La ragione per la quale mi piace raccontarvi alcune cose che mi accadono è perché le ritengo importanti non soltanto per me che le scrivo e che le ho vissute, ma anche per voi che mi leggete.
Comincio col dire che, nonostante tutto, sono stata una persona fortunata. Ho avuto la fortuna di circondarmi di situazioni e persone belle che ho scelto volutamente ma a volte sì, sono piovute dal cielo. Ho avuto la fortuna di incontrare persone potenti, empatiche, rivoluzionarie, uniche, fondamentali, che hanno fatto e continuano a fare la storia del nostro Paese. Instancabili. Forse per voi le fortune sono altra roba, come avere una bella casa, un bel lavoro, la salute, tanti amici, essere popolari, l’aperitivo il fine settimana e così via, ma sono certa che la fortuna sia un’altra cosa. Potrebbe essere, ad esempio, vivere in un intreccio di persone che sanno cambiare il mondo. Non voglio scrivere il diario di ciò che ho fatto in questi due giorni durante un workshop in un posto lontano dal mondo, ma voglio condividere con voi innanzitutto una frase, che ho sempre portato dentro, da qualche parte per tutto questo tempo e l’altro giorno come per magia è venuta al mondo, dalle parole di Erica:
“Scrivere è fare politica”
Intendiamo il significato “politica” nella sua accezione più pura e così, come una successione di ricordi, sensazioni e letture, mi sono venuti in mente gli uomini e le donne, che hanno fatto POLITICA scrivendo, e che per questo amo profondamente:
Pier Paolo Pasolini, Proust, Neruda, Sepulveda, Alda Merini, Hugo, Kafka, Umberto Eco, Dostoevskij, Hannah Arendt, Virginia Wolf, i fratelli Grimm, Thomas Mann, Erri De Luca…
Leggo tutti questi nomi (e ce ne sono molti altri) e penso che non sarò mai una scrittrice così, ma sono certa in un preciso momento, io e loro, abbiamo condiviso qualcosa e di questa cosa sono terribilmente orgogliosa. Scrivo da quando avevo soltanto sette anni e sapevo scrivere tanto e male, scarabocchiando e riempiendo quaderni e quaderni di orrori e refusi. Ero incosciente e affamata di storie. C’era questa cosa che mi costringeva ogni giorno a sedermi alla mia scrivania e prendere una penna in mano. Avevo il callo dello scrittore sul dito della mano sinistra, ne ero orgogliosa più di ogni altra cosa. Nasceva in me come una fiamma e scorreva dal cuore al braccio, dal braccio alla mano, dalla mano alla penna, dalla penna all’inchiostro, dall’inchiostro al quaderno. E infine esplodeva e dal momento in cui esplodeva il mondo attorno cambiava. Ecco, è questo ciò che penso mi accomuni a tutti coloro che hanno amato e amano scrivere.
In questi giorni ho avuto la fortuna immensa di poter condividere questo stato di grazia insieme ad altre persone, folli, come me. Una manica di “malati di libri” trascinati lì dalla voglia di scrivere, di leggere, di condividere, di raccontare, di esserci, di dare più che di ricevere ed infine di ricevere, con umiltà, come è giusto che sia.
Ma voi mi capite quando dico che ho avuto la fortuna di essere circondata da persone intelligenti? Sì, per me è una fortuna, è così difficile oggi trovare un briciolo di intelligenza in giro! Mi riferisco alla capacità di voler conoscere il mondo, non al grado di scuola frequentato e poi, sì, dai, anche a quello ma soprattutto alla capacità, al desiderio più che altro, di conoscere. Non ho dovuto faticare per far comprendere la mia diversità e io stessa non ho dovuto faticare per comprendere le peculiarità di ognuno, ed ho compreso che non esisto soltanto io e i miei dannatissimi limiti, ma esiste l’altro, che non è mai così come vorremmo, ma spesso è anche meglio. Non ho mai patito la solitudine, che invece mi capita di sentire in contesti più famigliari; non ho mai dovuto chiedere e non ho mai dovuto chiedermi “ma avrò fatto bene a venire qui?” come invece è capitato di fare in ambienti in cui la disabilità era l’unica cosa in comune; non ho mai sofferto per i miei limiti, non ho mai pianto per non poter fare qualcosa (e non è una cosa normale per una persona  come me che spesso si ritrova a non poter fare qualcosa), e di tutto questo stato di grazia e di amicizia e di empatia ringrazio profondamente le persone  che hanno vissuto insieme a me in questi giorni.
Non è semplice comprendere “come fare” quando ti trovi di fronte ad una persona diversa da te e molti per paura preferiscono non avvicinarsi e non è semplice, in un mondo di stereotipi, comprendere che una persona possa utilizzare un bastone per ciechi (ed ipovedenti) e contemporaneamente  scrivere con un pennarello e leggere.
Non è facile, ma loro ci sono riusciti. La difficoltà più grande che ho riscontrato durante la mia esistenza è stata sempre quella della comprensione. Durante la presentazione, Venerdì, ho spiegato in due minuti, e non di più, tutto ciò che è importante spiegare quando incontro persone nuove e nessuno ha fatto la battuta idiota del signor Massimo Giletti quando ho detto che in determinate situazioni di poca luminosità divento cieca del tutto, così come accade al tramonto. Il Giletti rise dicendo “Anche io non ci vedo al buio” senza capire che un conto è il buio un altro la poca luce (come quella dei faretti) con la quale tutti riescono ad avere percezione delle cose. Sono stati indubbiamente grandiosi per aver compreso e basta senza farmi mai sentire a disagio o con gli occhi puntati addosso. Ho visto piuttosto molta solidarietà e di questo ne sarò sempre grata.
Infine, e questo messaggio lo rivolgo ai miei “colleghi” di disabilità, ci tengo a comunicarvi questa mia certezza: spesso vi lamentate perché incontrate persone che vi trattano male, spesso vi trovate male in contesti in cui siete tra persone “normali” e anche tra vostri “simili”… mi viene da pensare che forse, tanto, dipende da voi. Se vi ponete con gentilezza e non con quella presunzione e quella durezza d’animo che abbiamo spesso noi “disabili” forse le persone avranno piacere di aiutarvi. Dicendo questo mi rendo conto che si dovrebbe aprire un altro discorso e non finirei più di scrivere. E’ vero, viviamo in un mondo in cui è difficile essere diversi e spesso, tante volte, essere autonomi ed indipendenti a causa di mille barriere, architettoniche e mentali e questo ci fa molto arrabbiare, giustamente. A volte però ci troviamo in un contesto di persone che vogliono aiutarci tra mille barriere e difficoltà. E’ come la storia del fumatore senza accendino di cui parlava Silvia: nessuno è più socievole di un fumatore senza accendino, così allo stesso modo anche un limite ed una difficoltà possono essere un punto di partenza per istaurare rapporti di conoscenza che possono cambiarci la vita. Anche in questo caso ci vuole intelligenza, sensibilità ed empatia, stavolta da parte “nostra”.
Simona Caruso

mercoledì 26 giugno 2019

27 Giugno 2019 giornata delle persone sordocieche


In occasione della giornata delle persone sordocieche voglio raccontarvi di me, di Cinzia e della sindrome di Usher.
Per una serie di ragioni, mi sono ritrovata a interessarmi in modo più attivo alla mia patologia e alla disabilità sensoriale visiva dall’Estate 2014. Conobbi molte persone, virtualmente ma non solo. Nella mia stessa città, a pochi chilometri da me, vive Cinzia.
Venne a casa mia un pomeriggio di quell’Estate insieme alla sua mamma e dato che era la prima volta che ci incontravamo parlammo molto. Lei aveva quel modo unico di parlare che hanno le persone con la sindrome di Usher. Mi raccontò la sua storia che inizia con una lunga processione per accertare, verso i cinque anni un’ “ipocausia”ovvero difficoltà a sentire. La prima cosa che si fa allora è quella di acquistare delle protesi acustiche che alcune mamme nascondono dietro i capelli lunghi, altre no. Bisogna fare logopedia per imparare a pronunciare bene le parole e sviluppare tutte quelle tecniche per poter comunicare al meglio con le persone. La prima tecnica di comunicazione che viene utilizzata dalle persone sorde è sicuramente la “lettura labiale”. Insomma, la disabilità per Cinzia è per lo più un fatto di comunicazione. Con il tempo però si individua un aspetto mai compreso prima: difficoltà a vedere bene o del tutto in determinati condizioni di luminosità e non solo. Cinzia, ad esempio,  non vede bene la sera, non vede bene i contrasti, i gradini e con il tempo non vede bene lateralmente con il suo campo visivo.
E così inizia una nuova vita: la vita di una persona affetta da sindrome di Usher.
Fino a quel pomeriggio del 2014 io non mi ero mai resa veramente conto della mia grande fortuna nel poter sfruttare l’udito. Mi vantavo spesso della mia capacità di individuare gli oggetti che cadevano senza dover fare lo sforzo di cercarli con gli occhi o ripulire il pavimento con le mani. Se mi cadeva una forchetta io mi abbassavo e la mia mano andava esattamente nel punto in cui l’avevo sentito cadere. Certo la stessa cosa non si può fare con oggetti che rotolano o sono talmente leggeri da spostarsi da una parte all’altra alla velocità della luce. Insomma, era scontato per me il fatto che chi non riuscisse a vedere bene, o del tutto, si aiutava con il secondo importante senso tra i 5 sensi: l’udito.
Per la prima volta mi resi conto di questa realtà che non avevo mai preso in considerazione prima, avevo sempre pensato ai sordociechi come persone che nascono una tantum; avevo visto un film “Anna dei miracoli” in cui la bambina è del tutto sorda e del tutto cieca, ma non avevo mai pensato a quelle vie di mezzo che accadono invece molto di frequente in Italia e in tutto il mondo. Da quel pomeriggio insieme a Cinzia, ho incontrato sempre più persone con la sindrome di Usher: alcune con l’impianto cocleare, altre con le protesi ed altre ancora senza protesi con enormi difficoltà di comunicazione.
Quelle rare volte in cui mi è successo di trovarmi in un posto super affollato con la musica altissima mi sono resa conto delle grandi difficoltà che devono affrontare quotidianamente le persone sordocieche. Non poter avere il senso dello spazio che chi non vede percepisce con l’udito; non riuscire ad afferrare al volo non solo uno sguardo ma anche un saluto, un richiamo, una parola… E pensare che questa che è tra le più gravi disabilità sensoriali, non viene nemmeno riconosciuto nel modo giusto in cui dovrebbe essere riconosciuta, per legge! Ed è proprio per questa ragione che una giornata dedicata alle persone sordocieche non può bastare. Oggi perciò oltre a leggere queste parole, che raccontano un’esperienza seppur indiretta con la sordocecità, vi invito a visitare la pagina Sordocecità per la modifica della legge 107/10 e di leggere attentamente le conseguenze della doppia minorazione vista-udito sulla vita delle persone che ne sono colpite, e vi invito a soffermarvi sulle inadeguatezze di una legge italiana che non rispetta la gravità di una disabilità come la sordocecità.

-Cinzia lo sai che ieri ho incontrato tizio caio sempronio e poi tizio mi ha detto che caio… e l’altro giorno invece… ma ti rendi conto?! Io alla fine gli ho detto… e insomma credo non sia giusto… storia della filosofia e storia medievale insieme in un’unica sessione… capisci qual è il dramma? Cinzia? Cinzia ma mi stai ascoltando?
- (Cinzia voltata di spalle che prepara il caffè si gira verso di me con la faccia a punto interrogativo e la tazzina in mano) Ma stai parlando con me?? Minchia ma lo sai che quando sono girata di spalle non ti sento!!


venerdì 21 giugno 2019

ADDIO E GRAZIE PER TUTTO IL PESCE! intervista ad un'alunna di quinta elementare nel giorno delle pagelle


ADDIO E GRAZIE PER TUTTO IL PESCE!
intervista ad un’alunna di quinta elementare nel giorno delle pagelle
- E’ terminato il primo ciclo di scuola dell’obbligo, quella che si definisce “scuola primaria”. Quali sono le tue impressioni, così, a caldo?
Beh, diciamo che è stato un inferno e sono felice di andarmene in un’altra scuola anche se mi mancherà la maestra M e la storia
- La storia si insegna anche alle scuole medie
- Ah!
- Hai detto che è stato un inferno, sai definire la parola “inferno”?
Certo! Bambini che urlano, per tutto il giorno, continuamente. Si arrampicano sugli armadi, prendono a parolacce le maestre, insultano i compagni chiamandoli negra, mongoloide, spastico, tu non sei normale… E considera che soltanto una maestra riesce a farsi ascoltare…
- Da cosa dipende secondo te il fatto che riesca a farsi ascoltare
- E che ne so, forse perché ci conosce dalla prima elementare?
- E le altre maestre?
Ho cambiato più maestre che scarpe in questi 5 anni
- Qual è stato l’anno migliore
- La seconda elementare
- E l’anno peggiore?
- La terza. La terza elementare è stato l’anno peggiore in assoluto. Avevo costantemente l’emicrania, pensavo che la mia testa potesse esplodere da un momento all’altro e la mia voglia di vivere era finita del tutto
- Qual è l’insegnamento migliore che hai ricevuto in questi 5 anni?
- A me piace la storia, mi è piaciuto molto studiare le città di Sparta e Atene
- Intendo un insegnamento di vita, qualcosa che è servito per la tua crescita e ti servirà anche per il futuro
- Che bisogna rispettare gli altri e non usare la violenza
- La cosa più bella che qualcuno ha fatto per te (compagni o maestre)
- Una volta G mi ha regalato un disegno bellissimo
- Una cosa bella che hai fatto tu?
- Dividere la mia merendina con C che l’aveva dimenticata e piangeva, e alla fine siccome aveva troppa fame gliel’ho data tutta
- Cosa ti aspetti dalle scuole medie
- Studiare tutto il pomeriggio e poi finalmente ci insegneranno a disegnare come si deve, con le teniche da disegno serie
- Sei soddisfatta di questa pagella?
- Sì beh, diciamo, ho avuto dieci in informatica e nove in inglese, sì direi di sì, anche se a me la storia piace tanto… otto… ma va bene!
- Sono solo numeri! Il giudizio ti piace?
- Ho cercato su Google il significato della parole discontinuo perché non lo capivo. Ho fatto troppe assenze? Maledette adenoidi!!!
Nove in Inglese, benissimo! Dimmi una frase in Inglese
Listen to me, mom! I’m talking in english very well
- Cosa vuoi dire ai bambini che si apprestano a frequentare la prima elementare
- Che devono essere sempre rispettosi sia con i compagni che con le maestre e soprattutto che non devono mai abbattersi per le piccole cose

martedì 28 maggio 2019

sognando



Sono una sognatrice compulsiva, credo di averlo detto centinaia di volte ma non mi stanco mai di ripeterlo. Sogno tantissimo, mentre dormo e soprattutto mentre sono sveglia. Stanotte ho dormito poco ché sono stata tormentata dal risultato delle elezioni e dal mal di testa, ma durante quelle poche ore di sonno ho fatto un sogno dei miei, uno di quei sogni simpatici che mi piace raccontare. Ero ad una cerimonia, luogo sconosciuto e situazione insolita. C’erano persone famose, lampadari di cristallo, banchetti di cocktail e antipasti e per fortuna tanta luce. Indovinate chi era la protagonista della serata? Proprio io. Essendo un sogno in soggettiva, ahimè, non sono riuscita a vedere come fossi conciata per l’occasione. Spero di essere stata per lo meno decente, che qualcuno sia riuscito a truccarmi e che non abbia avuto ai piedi le solite scarpe da ginnastica. Tra un convenevole e l’altro con persone a me sconosciute, mi ritrovo sul palco, o quello che doveva essere un palco, tra gli applausi. Comprendo, nello strano modo di comprendere dei sogni, che si tratta di un premio per la migliore sceneggiatura. La cosa mi rende ancora più felice, era stata per me una sorpresa, come se qualcuno mi avesse portato lì a mia insaputa - e a questo punto credo davvero di aver avuto ai piedi le scarpe da ginnastica-. L’evento mi riempie così tanto di gioia che non riesco a parlare e comincio a balbettare in uno straordinario e scorrevole inglese. E mentre sono lì che balbetto qualcosa al cospetto di una presentatrice in abito lungo e un qualcuno simile a Tim Burton dai capelli rossi, ecco che appare proprio al centro del mio campo visivo Woody Allen! Lui è lui con tutti i suoi anni -di solito l’ho sognato ancora giovane- e mi sorride. Così continuo a balbettare frasi che fanno sorridere e ridere tutti i presenti in un misto di commozione e tenerezza
<<I thing you are special>>
Dico fissando Woody Allen negli occhi che stranamente riesco a vederli entrambi senza dover scegliere tra l’occhio destro e il sinistro.
Poi lui mi prende le mani, i miei occhi si trasformano formando cuoricini perchè nonostante tutti I suoi anni, porca miseria, è il mio Woody Allen, l’uomo che ha contribuito alla mia costruzione emotiva, immagine dell’altro e distruzione sociale: il mio miglior psicoterapeuta insomma! Lui mi prende le mani e continuando a guardarmi dice qualcosa che non riesco a capire ma faccio lo stesso di sì con la testa e sempre balbettando gli rispondo
<<I love you>>
E poi mi sveglio che una zanzara mi aveva punto sul naso!

giovedì 4 aprile 2019

Io scrivo

Io scrivo
Simona Caruso
Quanti ricordi il mio primo computer! Era grigio enorme e pesantissimo, composto da monitor, tastiera, mouse, casse. Era tutto nuovo e per me magico. Avevo esplorato con stupore Internet per la prima volta e avevo per la prima volta compreso la differenza tra i nuovi computer e il commodore64, ma soprattutto, il motivo per cui l'avevo comprato era ciò che veramente mi interessava e ciò poter scrivere nello stesso modo in cui sono scritti i libri. Avevo avuto una macchina da scrivere di quelle moderne e tecnologiche ma un computer sarebbe stato qualcosa di grandioso per me. Mi si apriva un nuovo mondo e un nuovo modo di scrittura. Avrei provato le stesse sensazioni che provavo sin dall'età di sette anni ogni volta che mi trovavo una penna tra le mani? Avrei provato quell'ardore indescrivibile che scaturisce dall'ispirazione e ti invade l'anima e poi finalmente esplode attraverso la tua mano fino a raggiungere un foglio? Le sensazioni sarebbero state indubbiamente diverse perchè l'atto grafico di scrivere è qualcosa che nessun altro strumento può eguagliare, eppure, da quel giorno, dal giorno in cui un computer entrò a far parte della mia vita, io non smisi mai di scrivere. Ero ancora molto affezionata alla penna e al foglio di carta con il suo frusciare ma di giorno in giorno la penna diventava sempre troppo chiara e scrivere con i pennarelli richiedeva un numero enorme di fogli. inoltre scrivere con uno schermo retroilluminato mi evitava tutti i fastidi che mi procurava invece la luce naturale e artificiale esterna. Il primo obiettivo doveva essere quello di imparare a scrivere il più velocemente possibile perchè scrivere lentamente faceva perdere l'entusiasmo e l'ispirazione. All'inizio cominciai a copiare, cercando di trovare il metodo più semplice per poter scrivere senza dover guardare la tastiera. Lo imparai da sola, per errori e tentativi. Imparai a scrivere utilizzando quattro dita: indice e medio di entrambe le mani. Mi ci volle davvero poco per poter imparare la tastiera a memoria e orientarmi senza dover guardare i tasti. Dopo qualche anno al corso di centralino mi insegnarono a scrivere con dieci dita, lo imparai ma per quanto la cosa vi potrà sembrare assurda io sono molto più veloce con le mie quattro dita. 
Ci sono stati molti cambiamenti da allora, i miei caratteri su Word si sono ingranditi poco a poco, così come lo zoom della pagina, la grandezza delle icone, dei caratteri dello schermo e di internet. La mia voglia di scrivere quella non è cambiata mai. Spesso è la stessa voglia di scrivere che mi prendeva improvvisa in certi pomeriggi d'estate, quando tutti i bambini andavano in bici ed io restavo a scrivere per ore e ore, e niente riusciva a disturbarmi, nè le mosche in campagna, nè l'afa nelle ore più critiche. E anche oggi mentre fuori piove in questa primavera ancora fredda, trovo uno spazio in un mondo parallelo e scrivo e penso che tra i doni più belli che una persona possa ricevere nella vita, quello di scrivere è sicuramente tra i più belli e potenti

giovedì 28 marzo 2019

SOGNI...


SOGNI...
di Simona Caruso
Ho incontrato e conosciuto realmente e virtualmente persone che nonostante le mille difficoltà dovute a limiti fisici o mentali hanno fatto di tutto nella propria vita. Persone che corrono con le protesi alle gambe, altre che nuotano, si lanciano, fanno scalate di cime altissime. Super attive insomma. E tante volte penso che sia proprio una caratteristica della persona con disabilità quella di sfidare il mondo e le sue avversità. Tutti, quasi tutti… tranne me!
Io sono perlopiù pigra. Non è una pigrizia apatica e annoiata, nient’affatto. E’ una pigrizia… intellettuale. Dormire non è una delle cose che amo fare particolarmente, più che altro dormo soltanto quando posso e solitamente la notte, ma ultimamente negli anni l’ora della nanna avviene sempre più presto. Il fatto è che la mia mente non riposa mai, nemmeno quando dormo. Io sogno tantissimo. Faccio sogni che sembrano dei film, ci sono attori, registi, colpi di scena, effetti speciali, ci sono case che rivedo spesso, luoghi che mi sembrano famigliari e persone che non ho mai visto prima nella realtà. Ci sono a volte sogni in cui io sono solo la spettatrice e non ho nessun ruolo, come se fossi seduta al cinema a godermi un film. I miei sogni non sono mai ovvi e scontati, hanno sempre qualcosa di raccapricciante o inquietante o divertente. Ho sempre desiderato trovare uno psicoterapeuta che amasse ascoltare i miei sogni, ma purtroppo no. Ogni volta che ho tentato di raccontare i miei sogni, ho notato nel volto di chi mi ascoltava un’espressione rassegnata. Un sorriso di cortesia e a volte perplessità della seria “Non sarà che la sera mangi troppo pesante?” Ma nessuno li ha trovato interessanti per poter comprendere la mia anima.
Le uniche che ascoltano i miei sogni con particolare interesse sono Patrizia e Anna. Loro mi capiscono perché beh, in quanto a sogni sono messe peggio di me (o forse dovrei dire meglio? Dipende dai punti di vista).
Ci si interroga sempre sul modo di sognare delle persone che hanno una disabilità visiva. Chi è nato cieco e non ha mai “visto” con l’organo di senso della vista, ovviamente sognerà ciò che conosce con tutti gli altri organi di senso. Lo so che è difficile immaginare di poter vedere con altri organi che non siano gli occhi, ma ci vuole esercitazione ed esperienza soprattutto. Le persone che non hanno mai visto (così come lo intendiamo la maggior parte di noi) sognano suoni, odori, sensazioni e percezioni, vibraioni. Negli ultimi vent’anni è cambiato moltissimo il mio modo di sognare. Finchè ero ancora molto giovane sognavo il mondo a 360 gradi, nei sogni avevo un ottimo campo visivo e mi muovevo con disinvoltura, correvo, volavo, insomma tutto normale. Poi ho iniziato a non vedere tutto intero il mio interlocutore, a non percepire le cose laterali, a non vedere nella penombra. E sono iniziate anche le mie angoscie oniriche. Spesso nei sogni sono sola, vago in una città penombrosa senza una meta. Mi perdo. Tutto questo prima che un ascensore improvvisamente appaia travestito da cabina telefonica e mi porti da qualche parte per poi lasciarmi sospesa nel nulla. E anche in quel caso non riesco a visualizzare subito i tasti dei numeri, le maniglie delle porte… insomma, i sogni dovrebbero renderci liberi dalla realtà ed invece ultimamente riesco ad essere ansiosa pure quando dormo. Beh, ci sono però quei sogni pazzeschi in cui incontro personaggi per me supremi, come ad esempio Woody Allen che mi chiede di girare un film insieme a lui, mi parla dei suoi disagi psicologici e delle ultime storie d’amore. Io gli rispondo che sono una pessima attrice, ho avuto brevi esperienze di teatro e niente… non hanno mai avuto il coraggio di dirmelo chiaramente ma faccio pena! E poi altre cose che non si possono raccontare. Ad ogni modo i miei sogni spesso mi lasciano un senso di pace e serenità, a volte guardo, nei sogni, dei film meravigliosi, molto spesso bucolici oppure avventurosi. Spesso sogno mia figlia già grande e in questi sogni in cui ci avventuriamo su un treno la cosa buffa è che insieme stiamo andando a trovare proprio lei, mia figlia che nei sogni ha la capacità di sdoppiarsi ed essere in diversi posti contemporaneamente e avere due età contemporaneamente. Insomma. Tra le tante cose che amo fare e che amo essere ecco, c’è questa. Amo sognare. Ad occhi aperti, a occhi chiusi e spesso i miei sogni sono di grande ispirazione per i miei romanzi. Questo disegno, ecco, prendetelo un po’ così, non ne fate un dramma, considerate che sono quasi del tutto cieca e che per fare questo coso ci ho impiegato un bel po’… in ogni caso, è la rappresentazione di me che dorme e che sogna, più o meno in questa posizione, compresa di bocca aperta. Vi ho risparmiato la bava…

lunedì 25 marzo 2019

FOTOGRAFIA D'ASSALTO


FOTOGRAFIA D’ASSALTO
Simona Caruso
C’è un altro episodio che riguarda la fotografia e me. Questa volta non si tratta di fotografie artistiche, di paesaggi, di momenti di pura serenità. Questa volta si parla di fotografia… D’ASSALTO!
Per quanto la mia vita non sia particolarmente avventurosa ho avuto un paio di situazioni sul filo del pericolo di vita, ma giusto un paio ed ovviamente sono rimaste impresse nella mia mente dettaglio per dettaglio.
Il racconto risale all’epoca in cui vivevo a Catania e frequentavo l’università. Un giorno insieme ad una nuova, giovane e sprovveduta coinquilina andai ad una manifestazione davanti al prefetto. E’ trascorso tanto tempo e adesso non ricordo le motivazioni che ci spingevano a protestare davanti al prefetto, ma ricordo con esattezza che era una bellissima giornata di sole. Arrivai nel luogo della manifestazione molto in anticipo, come accade sempre, per poter studiare bene il territorio. Con il trascorrere delle ore aumentavano gli studenti, gruppetti di ragazzi e ragazze coloratissime che battevano sui bonghi, altri reggevano composti degli striscioni. In breve tempo la folla aumentò, il rappresentante degli studenti parlò attraverso un megafono, una delegazione salì su e scese un po’ scocciata perché il prefetto non c’era. Qualcuno o perché era arrabbiato o perché era ubriaco lancia una bottiglia verso il palazzo del prefetto e lì inizia il caos. Ora, avendo io questa fotocamera non potevo spostarmi e mettermi in salvo da un probabile pestaggio in cui, per la regola della selezione naturale i più deboli soccombono. No!! Dovevo assolutamente cercare di testimoniare l’evento, e fotografarlo. Poi avevo anche avuto l’idea di fotografare gran parte della folla mettendomi in un punto alto. Purtroppo madre natura non mi ha dato il dono dell’altezza. Scelgo un gradino sul palazzo del prefetto. Ma nonostante il gradino resto sempre bassa. Così casualmente mi volto e alla mia destra scorgo un ragazzo alto alto. Certo doveva essere già alto di suo ma sul gradino lo era ancor di più. Senza tante presentazioni gli chiedo se può farmi la cortesia di fotografare la folla che nel frattempo si era riordinata ed era passato il momento di agitazione. Il ragazzo alto alto di cui non vedevo bene la faccia mi sembra un po’ diffidente e con molta prudenza prende la mia fotocamera e senza dire una parola scatta qualche foto. Poi, sempre silenziosamente mi porge la fotocamera. Me ne accorgo perché per evitare di non vedere il momento in cui mi restituisce la fotocamera non la perdo mai di vista (perdendo però di vista tutto il resto). Riprendo la fotocamera e lo ringrazio augurandogli una buona giornata. Quando mi volto a sinistra per cercare di capire dove fosse finita la mia giovane coinquilina, la vedo, e soprattutto sento il suo profumo, accanto a me piegata in due per le risate
“Hai appena chiesto ad un poliziotto con il casco di fare delle foto per te dopo una rissa…”
Sì, lo avevo fatto. E chi l’aveva visto il casco? Mi è andata bene, e d’altra parte, come si fa a non fidarsi di una faccia come la mia? Se consideriamo le volte in cui ho detto di essere della stampa e sono stata creduta… beh in un’altra puntata vi spiegherò la magia della fotocamera in un soggetto con visione tubolare

mercoledì 20 marzo 2019

una canon un bastone e un'utopia

nina vola

Una Canon, un bastone e un’utopia
Simona Caruso
In principio era una macchina fotografica. Così si chiamavano un tempo, e avevano l’obiettivo piccolo,  il rullino Kodak, e lo zoom che usciva e rientrava.
Io ne avevo una un po’ più moderna, verso il 16 anni la portavo quasi sempre con me, l’ultimo scatto era sempre una pugnalata al cuore ma la gioia ricominciava quando toglievo il rullino per portarlo dal fotografo che aveva espsti poster di spose e bambini in abitino bianco o vestiti in maschera. Scatti eccezionali, unici, che non potevi cancellare. La camera oscura, la dedizione nell’arte di fotografare e di sviluppare immagini. Il prezzo eccessivo le dimensioni piccole che riuscivi ancora a vedere quasi bene.
Le mie prime fotografie raffigurano i miei amici, le nostre scampagnate, le gite, le feste di compleanno con tutti i parenti, il coro della chiesa, i primi baci…
La mia ultima “macchina fotografica” risale a 17 anni fa. Era il matrimonio di mio fratello, io facevo da testimone e come regalo chiesi una nuova macchina fotografica. Era già più moderna, leggera e fighissima ma sempre con l’obiettivo su cui poggiare l’occhio. Iniziavo ad avere difficoltà ad inquadrare gli oggetti ad adattarmi facilmente alle variazioni di luce. Poi un giorno si ruppe, la tenni per ricordo e ne comprai una moderna che non si chiamava più macchina fotografica ma il suo nome si era rivoluzionato in “fotocamera digitale”. L’dea di poter vedere l’immagine su uno schermo, di poter selezionare più immagini, di avere la possibilità di scatti infiniti, mi faceva sentire dio. La tecnologia ti da questa sensazione di onnipotenza che soprattutto i primi tempi non ti fa dormire la notte. La mia prima fotocamera digitale mi ha visto in numerosi scatti, non più di persone e di eventi straordinari, ma di natura, paesaggi, oggetti, animali, particolari… ricordo il mio interesse per i cancelli, i reticolati, i muretti in pietra, le insenature dei sassi. Scatti, quanti, non saprei forse migliaia…
Mi piaceva la luce del crepuscolo, quella che dipinge il cielo di un azzurro intenso e lunghe pennellate di rosso arancio. Ricordo una nave sul porto di Siracusa, il riflesso di questa sul mare, il tramonto alle spalle. Ed i sassi, quanti sassi ed un cancello nel nulla a delimitare un confine immaginario ed una rete per proteggere un orto. E l’immagine di due cani identici affacciati con i musi fuori le sbarre di una ringhiera, simmetrici guardano in direzioni opposte.
Ed oggi, con il mio telefonini provo ogni tanto a fotografare il mondo e mi stupisce sempre e mi piace, mi diverte, mi affascina ancora. Oggi mi affascina il mistero dietro ai miei scatti. L’altro giorno mi trovavo al Luna Park, uno di quei luna park che sostano in città e così come il circo fanno impazzire grandi e piccini. Giostre, musica a tutto volume diversa per ogni attrazione, bambini che corrono e che urlano in ogni dove. Un gran bel casino. Il sole non è così alto ormai, sono le 6 del pomeriggio e c’è quella luce, quella che continuo ad amare ancora oggi, che un po’ mi mette in ansia perché so che qualche secondo dopo questi colori meravigliosi giungerà per me l’oscurità. Mia figlia sale sui materassi rimbalzanti, si diverte, vola, ride (la sento ridere) vedo che si sposta su e giù legata a delle corde. Non riesco a vedere i suoi particolari, il suo volto, non riesco a vederla nell’insieme e non riesco a percepire nemmeno tutto quello che ho intorno,non riesco a vederla bene perché non posso sentire bene a causa del volume troppo forte della musica. Ma mi sembra ugualmente un’immagine meravigliosa così, come la vedo nella mia mente. Allora prendo il telefonino, indovino dove si trova la fotocamera, il contrasto luce mi permette di vedere l’immagine che si alza e si abbassa di mia figlia. Scatto. Il trucco, dico per farmi vedere esperta, è quello di scattare quando sta giù, così l’immagine viene impressa esattamente nel momento in cui si trova sospesa in aria. Sì, mi sento grande solo per questa intuizione. Faccio una due tre un sacco di foto. Poi torno a casa, rivedo le foto ingrandite una per una. Spettacolari! Vedo il sorriso di mia figlia che ha lo sguardo rivolto verso di me, l’immagine non è nemmeno sfocata. Fantastica!
Decidiamo di andare via dal Luna Park che è già buio, per me, non vedo niente, è un posto nuovo, devo prendere ill bastone!
Ma se ho appena scattato delle fotografie?
Ma intanto non ci vedo più. Non è più come poteva essere qualche ora fa (anche se pure qualche ora fa avrei comunque avuto bisogno del bastone).
Sì, tanti “colleghi” per definirli così non comprendono perché tante paure a prendere un bastone bianco se poco prima ci eravamo concessi degli scatti. Altri addirittura si indispettiscono perché hai avuto la fantasia di fotografare (per molti ciechi l’immagine è un tabù come il sesso per i bigotti) ed altri ancora ti dicono che dovresti intercettare gli sguardi meravigliati e fare una propaganda di informazione spiegando come sia possibile l’arcano. Quando invece tu, molto semplicemente vorresti essere soltanto libero di vivere.
Ho sempre sognato questa immagine, una donna, una turista, con berretto da turista e occhiali arancioni, passeggia su di un sentiero. Con la mano destra regge il bastone che fa oscillare o ruotare da una parte all’altra e a tracolla poggiata sul cuore una Canon, una di quelle con il grandangolo. E pensa a ciò che dovrà fotografare, non pensa a nient’altro. un sogno, una utopia. Cosa accadrebbe oggi se qualcuno pensasse di fare una cosa del genere? Forse niente, forse passerebbe inosservato o forse qualcuno vedendolo penserebbe “falso cieco!” e nel peggiore dei casi glielo urlerebbe contro, perché ormai le persone sono diventate brutte e cattive e non si preoccupano di ferire con le parole.
Ma finchè ancora ci riuscirò, in un modo che non riesco a spiegarvi, io proverò a fotografare, meravigliandomi di quelle immagini che inconsapevolmente ho afferrato e di tutte quelle cose che ho visto solo con la mia mente impresse nella mia anima.
L’immagine è una poesia muta diceva Leonardo,ed è proprio così, è il riflesso della vita dentro di noi

lunedì 11 marzo 2019

PREGIUDIZI E STEREOTIPI NEL 2019



Sono la quarta dopo tre figli maschi. Spesso lamentosa, musona e solitaria. Certo! Ero viziata perché unica figlia femmina.
L’altro fratello era viziato perché ultimo di tre figli maschi…
Mio cugino Salvatore non voleva mangiare perché figlio unico…
Fardelli, pregiudizi, pesi insopportabili per bimbi e genitori.
E’ da un po’ di mesi che faccio una lunga ricerca sulla questione, per capire se a livello scientifico ci sono delle corrispondenze. La risposta è assolutamente negativa. Niente di scientifico sui pregiudizi riguardo i figli unici
SONO VIZIATI
Avere maggiori attenzioni non è sinonimo di “viziato”
Ficcatevelo bene in testa!
Dare ad un bambino la possibilità di vedere posti nuovi, praticare attività che gli piacciono, informarsi se qualcosa nel suo comportamento o nel suo andamento scolastico non va bene, non vuol dire che cresca viziato e capriccioso. Riempirlo di giocattoli inutili è un conto, costriure attorno un ambiente di strumenti stimolanti è un altro conto.
Conosco bambine con sorelle e fratelli che ogni uscita è una “fesseria” comprata in edicola.
E’ EGOISTA
A differenza dei figli che hanno fratelli, i figli unici non vivono la competizione e l’ansia del proprio territorio perciò sono più generosi e socievoli con gli altri. In famiglia si impara a condividere e a stare con gli altri solo se i genitori aiutano a crescere in questo senso. Ho visto più altruismo e generosità nei figli unici che in quelli “costretti” a dover dividere tutto possibilmente subendo prepotenze da parte di fratelli e sorelle.
Ancora oggi nel 2019 se mia figlia si lamenta per qualcosa “E’ figlia unica vero???”
Ma fammeli tu altri dieci figli!
Di fronte le crisi emotive di mia figlia aspetto che le passino senza lasciare che rompi le scatole al resto del mondo. cerco di farle capire che non serve fare una tragedia per ogni cosa. Non l’assecondo, non le do ragione, non insisto con gli altri perché le diano quello che vuole. L’unica cosa che posso fare è quella di aspettare che comprenda.
Ma che cosa ne sapete voi!
E nemmeno la massacro di legnate come tanti benpensanti pensano sia giusto fare. perché nella storia dell’educazione sociale, le bastonate hanno portato solo a questo: a sfornare uomini e donne frustrati che nel migliore dei casi riversano le loro frustrazioni verso chi considerano più debole.
Questo è quanto.
Sono stanca. Stanca di dovermi continuamente sentire giudicata, analizzata e additata da un pugno di incompetenti. Accetto valutazioni e suggerimenti solo da chi è in grado di poterlo fare.
Voi e i vostri pregiudizi non fanno altro che demotivare e abbassare l’autostima di chi combatte ogni giorno per la propria serenità.
Viviamo in una società che tende ad omologare tutto e tutti, a partire dai bambini. Ed un bambino per essere “diverso” da un altro o è etichettato in una delle variegate etichette che si annoverano tra i disturbo di apprendimento e comportamento, oppure niente da fare, è semplicemente viziato. E se non è perché è figlio unico sicuramente è viziato perché il padre è ragioniere, oppure perché ha due cani marroni, oppure perché vive al mare…
Tante volte l’unico vero problema siamo soltanto noi

sabato 2 marzo 2019

Un carnevale dopo l'altro

È vero, a qualcuno che è troppo vecchio dentro, le tradizioni e il susseguirsi delle stagioni non piace molto, Anzi prova quasi insofferenza per chi invece magari attraverso gli occhi dei bambini riesce a provare gioia... il carnevale è una festa che da bambina ho amato moltissimo. Mai comprato un vestito di carnevale, sempre cuciti di sana pianta dalla mamma, moltiplicato x 4 figli. Ricordo ancora il vestito da scheletro che fece per mio fratello disegnando e ritagliando sul Pannolenci bianco tutto lo scheletro alla perfezione che aveva ricopiato da un atlante del corpo umano. I vestiti che ricordo con più gioia perché hanno letteralmente fatto esplodere la mia fantasia sono un vestito di farfalla con antenne fornite di un interruttore che da qualche parte del vestito riuscivo ad accendere e che si illuminavano e il vestitino da Squaw con tanto di marsupio per Cicciobello anch'egli vestito da piccolo indiano. Il carnevale era in assoluto la festa dell'immaginazione anche quando ormai grandi non perdevamo occasione per poterci travestire ancora. Ricordo un coloratissimo spassoso vestito da caramella, un romantico vestito da fantasma con il quale mi ero mascherata insieme al mio primo amore... e poi ancora un vestito da tovaglia imbandita durante una sfilata con i ragazzi del coro... poi la nascita di un piccolo sole che abbiamo voluto chiamare col nome di Nina ha dato senso a tutte quelle feste che purtroppo ero riuscita ad odiare ad un certo punto .. così un carnevale dopo l'altro siamo giunti fin qui! Il carnevale del decimo compleanno ha un significato speciale. Anche quest'anno la mamma ormai nonna è riuscita a creare qualcosa di fantastico. Nell'attesa di poter lanciare ancora coriandoli perché, noi siamo cresciuti ma non siamo mai troppo grandi per essere felici! E se la felicità quella per cui si salta, quella per cui si prova Gioia lanciando coriandoli, quella per cui ogni festa è una scusa buona per far casino... se questa felicità deve appartenere solo ai bambini, allora sì, vogliamo restare bambini per sempre! Ma per fortuna, siamo così talmente alieni da sapere che la felicità appartiene solo a chi la sa vivere veramente E nonostante tutto

giovedì 14 febbraio 2019

L'amore ai tempi dell'ipovisione



Caro Ludovico,
E’ trascorso un anno dall’inizio della nostra storia d’amore e questo sarà per noi il nostro primo San Valentino. Per l’occasione ho deciso perciò di scriverti una lettera, come si faceva un tempo, e di consegnartela insieme al mio regalo. Per evitare equivoci l’ho scritta a carattere 28 Arial, spero di non aver esagerato, ho anche impostato un’interlinea tale da permetterti una migliore lettura. Scusami, ma sono così impacciata anche se tu mi hai ripetuto tante volte che devo stare tranquilla e che impareremo insieme a capire i trucchi della vita, dell’amore e dell’ipovisione. Da quando tuo cugino ci ha presentati quella sera al ristorante mi sono messa a studiare di brutto, un po’ anche di nascosto, ma fondamentalmente non ci ho capito molto. L’ipovisione è una cosa complessa, spesso è soggettivo il modo di affrontare la vita, insomma è un casino. Ho capito molto di più osservandoti anche se… a volte riesci a vedere oggetti microscopici che cadono a terra e altre volte non vedi il telecomando che sta proprio davanti ai tuoi occhi. Lo so è la storia del campo visivo ma è comunque per me un mistero. A volte poi ti senti poco adeguato quando invece sei più perfetto (anche se non si può scrivere) di molti uomini ai quali non manca di certo il campo visivo, ma manca tutto il resto. Insomma, sei stronzo pure tu a modo tuo, ma ad esempio…
cos’è questa storia che ti senti poco virile perché non puoi guidare l’auto? A me sembra proprio una stupidaggine! Siamo nel 2019, davvero pensi che una donna si senta meno donna se sta con un uomo che non PUO’ avere la patente? Andare in giro in TAXI come una vip non ti pare che sia molto figo? E poi io trovo altrettanto figo che sia io a venirti a prendere sotto casa e scoprire così che anche gli uomini si fanno aspettare. Certo nel tuo caso ti fai aspettare perché non trovi mai dove hai lasciato le chiavi e alla fine ce li avevi in tasca, ma questo credo che non dipenda dall’essere ipovedente!
Mi chiedevi se ero disposta a stare accanto ad un uomo che è destinato a diventare cieco. Beh, potrei risponderti con una battuta ironica ma voglio essere seria per una volta. La vita è imprevedibile, amore mio e non si sa mai cosa ci può riservare. Potrebbe riservarci una cura, ma non sto con te perché spero in una cura che possa guarirti. Sto con te perché sei tu e tu non sei la tua malattia. Tu sei innanzitutto terribilmente carino e poi sei simpatico, sensibile, empatico, divertente, molto Woody Allen in certe occasioni e Pablo Neruda in altre. Insomma sai cogliere l’essenza delle cose e sai come amarmi e poi mi hai fatto scoprire l’arte di vedere sfruttando tutti e cinque i sensi e non è una cosa da poco. Così anch’io l’altro giorno ho cercato la mia maglia fortunata sforzandomi di sentirla e pian piano ho scoperto quei particolari e quelle differenze che non avevo mai notato, sotto le mie dita. E per la prima volta poi ho capito l’importanza dei punti di riferimento, dei dettagli e del perché non bisogna mai lasciare gli sportelli aperti o le porte a metà. Insomma non avevo mai conosciuto una persona così complessa e geniale come te. Solitamente le persone come me, quelle tra virgolette normali, vanno nel panico se qualcosa non è come l’avevano pensata. Se va via la luce in casa perdono l’orientamento, se il navigatore in macchina suggerisce una strada assurda non riescono a fare affidamento al loro senso pratico. Ma tu invece non ti perdi mai! Sembri avere sempre tutto sotto controllo e non lasci mai niente al caso.
A volte però è davvero difficile capirti, in certi momenti soprattutto la sera quando siamo tutti insieme attorno ad un tavolo di amici e sembri essere altrove. Quando qualcuno nella penombra ti saluta senza ricordarti il suo nome per poterlo riconoscere anche se gli amici quelli di una vita li riconosci già dall’odore. E riconosci anche me che profumo di vaniglia, almeno così mi hai detto e mai nessuno fin’ora si era accorto o accorta del mio odore naturale. così è trascorso un anno ed eccoci qua! Io seduta al mio PC per scriverti questa lettera e tu davanti alla TV (dopo aver lavato i piatti senza lasciare niente ai bordi del tavolo). Ho faticato tanto per capire che genere di regalo farti, e poi ho avuto un’ “illuminazione”! e spero possa piacerti. Ha tre regolazioni e pure quella lampeggiante in caso dovessimo perderci nei bosci e chiedere aiuto.
Ps. Per caso hai visto la mia borsa?!

domenica 10 febbraio 2019

un giorno (ed una notte) in ospedale

Il pigiamino di Nina dentro le lenzuola nel lettino d'ospedale


Sono trascorse due settimane e mi sembra che sia trascorsa già un’eternità. Si doveva fare, prima o poi e così quel giorno è arrivato. Lo avevo immaginato sin dal momento in cui aveva avuto la sua prima gastroenterite ed i gemelli della mia amica finirono entrambi in ospedale. Io non sono riuscita ad immaginare come sarebbe stato per me ritrovarmi in una stanza d’ospedale con una bimba piccola a dover stare attenta che non combinasse casini con l’ago della flebo o a dover ritrovarmi a cercare oggetti sul comodino, a terra, ovunque o non trovare il bagno o non riuscire ad afferrare in tempo qualcosa che qualcuno mi porgeva…
Sono trascorsi invece dieci anni. Adenoidi e tonsille avevano ormai le dimensioni di due arance (tonsille) e olive ascolane (adenoidi) e dovevano necessariamente essere tolte e questo avrebbe comportato un ricovero ospedaliero.
Ogni mamma tra virgolette normale si preoccupa solo ed esclusivamente dell’intervento. Di comprare il corredo nuovo per l’ospedale, di programmare le giornate di lavoro e di rassicurare il proprio figlio o la propria figlia. Nel mio caso le cose cambiano, c’è una piccola variazione e le preoccupazioni si amplificano.
Incominciamo da Nina: non ha niente che non va ma è eccessivamente emotiva, non le piacciono gli scherzi, il sarcasmo, la fanno sbarellare le contraddizioni e fondamentalmente se inizia una domanda deve arrivare fino alla fine anche se dovesse esserci il giudizio universale in corso. Semplicemente questo, niente di più. I problemi iniziano quando qualcuno ci spiega che bisogna restare anche la notte. Dico che resto io perché sono la mamma
MA…
“Sono una mamma che non ci vede molto bene, mi chiedevo e vi chiedevo se sia possibile la presenza di un’altra persona oltre la mamma”
“Faccia restare solo la nonna allora”
Mi rispondono.
No. Sono io la mamma, perdonatemi non voglio fare l’egoista, voglio sono stare accanto a mia figlia, e chiedo solo la presenza di una persona in caso di necessità.
Il primario dapprima mi dice che dovrebbe restare la nonna ma quando spiego che ho la retinite pigmentosa lui si sente rassicurato (ma non so perché)
Mi dice che non ci sono problemi, resto solo io perché non c’è spazio per far stare un’altra persona e che comunque il personale infermieristico verrà avvisato della mia (nostra) presenza e se dovessi avere bisogno non esiteranno a darci una mano. Ma poi per il corridoio incontro la caposala, parlo anche lei delle mie possibili difficoltà (perché in realtà non so se effettivamente avrò bisogno di un aiuto) e lei mi risponde
“dobbiamo già badare ai pazienti, non possiamo badare anche a lei”
Le rispondo sorridendo (perché è sempre utile mostrare un sorriso) che io in realtà sono autosufficienti, che per dieci anni ho cresciuto io mia figlia e che al limite potrebbe servirmi un aiuto per capire ad esempio se la flebo è terminata oppure no. Mi risponde anche lei rassicurata perché d’altra parte
1-         Alla flebo devono pensarci loro e non io
2-         In fondo ormai le flebo sono concepite in modo tale che quando terminano l’aria non entra nella vena
Sembrano tutti tranquilli, tutti tranne me.
Per non bastare poi accade che qualcuno perde le analisi del sangue e l’anestesista sembra pure tranquillo “se non si trovano le rifacciamo il giorno dell’intervento”
E se sei tranquillo tu…
E c’è un’infermiera poi che sembra avere una fretta esagerata. Si può superare sì, ma è un motivo aggiuntivo di ansia.
E qui arriviamo alla parolina magica: ANSIA
Immaginate questo mix di preoccupazione per tua figlia che per la prima volta si sottopone ad un’anestesia totale (ma lei è in realtà curiosa e affascinata all’idea di addormentarsi senza la propria volontà)
Non sai come sarà dopo l’intervento e non hai nemmeno la certezza che qualcuno ti aiuterà.
Io intanto metto nel mio zaino di sopravvivenza oltre al bastone due (no anzi erano tre) torce di dimensioni diverse. Perché quando hai la retinite pigmentosa e sei più cieca che vedente ti servono sia un bastone che delle buone torce.
Poi un quadernone e un pennarello nero a punta grossa perché se Nina non può parlare almeno mi può scrivere. Salviettine, asciugamani, un plaid che non si sa mai…
E poi arriva il giorno dell’intervento. Immagino che quel giorno tutti abbiano fretta e non appena arriviamo ci salutano con un bel
“Presto muoviamoci!”
E invece no. Arriviamo con calma, Nina indossa il suo pigiamino nuovo ed è super gasata come se stesse per andare al cinema
“E’ la prima volta che vado in giro in pigiama!” mi dice saltellando e facendo mille domande (soprattutto sul sonno indotto dall’anestesia)
E io mi sforzo di mostrarle la parte meno preoccupata, quella più pragmatica che ha solo bisogno di capire dove si trova la porta del bagno, quali sono i punti di riferimento migliori, l’anta del nostro armadio, l’armadietto, il pulsante per le emergenze e l’interruttore della luce e soprattutto Nina ascolta tutto quello che ti dicono di fare e fallo così come ti dicono, non prendere iniziative non fare troppe domande, respira, respira profondamente! E infine ci avviamo verso la sala operatoria. L’infermiera che c’è in reparto è molto rassicurante, mi ricorda la moglie del maestro di Judo di Nina, ed ha le sue stesse movenze. Il portantino invece è un uomo adorabile che oltre a fare il portantino fa anche il pizzaiolo in un posto di cui ci dice il nome ma noi lo dimentichiamo dopo due secondi. E’ una persona straordinariamente dolce, mi prende il braccio, con delicatezza gli mostro che in realtà si fa al contrario: chi non ci vede si appoggia al braccio di chi ci accompagna. E’ affascinato da Nina e dalla sua curiosità. Entro nella sala preoperatoria imbacuccata di cuffia, camicie e copri scarpe. Quando entriamo lui non mi molla un momento.
Preoccupazione nuova: ho perso il conto dei giri che abbiamo fatto per entrare!!!!
Ma lui, il portantino che si chiama come il mio psicoqualcosa non mi lascia un solo attimo anzi si sposta giusto per andare a prendere qualcosa e dice
“vi raccomando la signora”
E tutti annuiscono.
Il primario aggiunge
“Tutto sotto controllo”
Poi inizia la fase per l’anestesia, Nina fa qualche domanda sulla macchinetta del cuore e accenna al gioco del chirurgo sulla playstation
“Anche voi avete un cucchiaino in sala operatoria?”
E racconta che lo zio per fare un intervento al cuore su quel gioco ha dovuto rompere il torace a martellate, ma proprio sul più “bello” sono dovuta uscire.
Il dopo intervento è stato durissimo, Nina (pensavo che non avesse parlato almeno per le prime ore) si lamentava per il dolore e per l’anestesia. Il portantino mi fa appoggiare alla barella ed andiamo verso la stanza. Il papà di Nina ed i miei genitori erano comunque con noi, nessuno li ha fatti andare via o ha fatto obiezioni sulla loro presenza. Dopo un po’ di irrequietezza Nina finalmente si addormenta. Il primario passa diverse volte per controllarla e anche il portantino. Mi dice “Ninuzza diventerà qualcuno”
E me lo dice con convinzione e ammirazione. Rimango colpita e commssa da quelle sue parole.
Poi c’è lei, la nostra compagna di stanza (una stanza piccolina, perfetta per noi retinopatici) è una ragazza russa alla quale il figlio di due anni aveva rotto il setto nasale lanciandole un oggetto pesantissimo. Lei era straordinaria. Non appena mi sentiva muovere si fiondava dal letto per chiedermi se avevo bisogno di aiuto. La notte mi alzo per andare in bagno e mi trovo due infermiere e un infermiere, la compagna di stanza, l’universo intero attorno a me. Esagerati! Ma ovviamente non posso che dire “Grazie, siete molto gentili, davvero, ma in queste ore di luce ho memorizzato il percorso, è ottima l’idea di colorare gli stipiti di blu (o forse era verde scuro? O nero?) perché così si vedono meglio e di mettere la panca vicino la porta d’ingresso del bagno e il bagno dei disabili non appena si entra”
Nina dorme tranquillamente tutta la notte, ad un certo punto parla nel sonno ad alta voce, poi anche lei si sveglia per andare in bagno, l’accompagniamo io e la compagna di stanza. Tutto sembra procedere bene. L’indomani dimissioni e via. Prima dell’intervento avevo pensato che il giorno delle dimissioni avrei detto al primario e agli infermieri che la disabilità non è un privilegio, ma una condizione che potrebbe accadere a chiunque in qualsiasi momento, ma alla fine non l’ho fatto.
Loro sono stati più disponibili di quanto non mi sarei aspettata ed io, io me la sono cavata nonostante tutto. L’ansia ci toglie dieci anni di vita e ci offusca la ragione, poi in fondo tutto è molto più semplice.
PERO’…
Però dovrebbe essere appunto tutto più semplice anche prima. Quando una mamma con una disabilità chiede di poter assistere il figlio o la figlia non ci devono essere incertezze, divergenze, non bisogna “sperare” che tutto vada bene. Bisogna avere una certezza, la certezza che riceverai per legge un’assistenza particolare.
Non è un priviligio e non dovrebbe neppure dipendere dai sorrisi o dalla buona volontà degli infermieri, dovrebbe funzionare così e basta.
Ma ogni volta accade la stessa cosa, ogni momento della nostra vita e della vita di chi ci sta accanto è soprattutto intriso di ansia incertezze e dite incrociate perché tutto vada bene


mercoledì 2 gennaio 2019

Anno nuovo

Mi piace l'idea di poter parafrasare la scena di un meraviglioso film di Woody Allen, Manhattan. Mi piace poter pensare alcune buone ragioni  per cui è valsa la pena di vivere durante l'anno appena trascorso. Tra i motivi immediatamente c'è la risata di Nina quando è  felice, l'abbraccio dei miei fratelli, dei miei nipoti e insomma della mia famiglia quando si riunisce Dopo tanti mesi di lontananza. La pizza, le patatine fritte. La frase sul portale studenti " lo studente risulta iscritto al primo anno di Scienze filosofiche", gli occhi di Giuliana che mi chiede se può sedersi accanto a me, e i messaggi di Santi durante l'estate. Un'amica che ti avvisa 5 secondi prima che stai per schiantarti la testa. Gli antipasti per il compleanno. Il mare e la spiaggia quasi deserta del mese di giugno. La voglia di scrivere ancora. La sintesi vocale attraverso la quale posso leggere ancora. Il caffè che lui mi prepara alle 6:00 del mattino, La magia nei momenti meravigliosi del teatro... in questi giorni ho letto Molte lamentele riguardo la vita in generale E l'anno che è passato. Ci sono periodi peggiori di un altro, ma se c'è una cosa che ho imparato è che più mi lamento e più  le cose vanno male. Ci sono persone che odiano tutto e tutti e ogni categoria di esseri umani sulla faccia della terra e tutto gli va storto. Ci sono altri che mi sembra non crescano mai e restano sempre chiusi e ostili nel loro mondo. Proviamo a ribaltare visione delle cose?