giovedì 28 marzo 2019

SOGNI...


SOGNI...
di Simona Caruso
Ho incontrato e conosciuto realmente e virtualmente persone che nonostante le mille difficoltà dovute a limiti fisici o mentali hanno fatto di tutto nella propria vita. Persone che corrono con le protesi alle gambe, altre che nuotano, si lanciano, fanno scalate di cime altissime. Super attive insomma. E tante volte penso che sia proprio una caratteristica della persona con disabilità quella di sfidare il mondo e le sue avversità. Tutti, quasi tutti… tranne me!
Io sono perlopiù pigra. Non è una pigrizia apatica e annoiata, nient’affatto. E’ una pigrizia… intellettuale. Dormire non è una delle cose che amo fare particolarmente, più che altro dormo soltanto quando posso e solitamente la notte, ma ultimamente negli anni l’ora della nanna avviene sempre più presto. Il fatto è che la mia mente non riposa mai, nemmeno quando dormo. Io sogno tantissimo. Faccio sogni che sembrano dei film, ci sono attori, registi, colpi di scena, effetti speciali, ci sono case che rivedo spesso, luoghi che mi sembrano famigliari e persone che non ho mai visto prima nella realtà. Ci sono a volte sogni in cui io sono solo la spettatrice e non ho nessun ruolo, come se fossi seduta al cinema a godermi un film. I miei sogni non sono mai ovvi e scontati, hanno sempre qualcosa di raccapricciante o inquietante o divertente. Ho sempre desiderato trovare uno psicoterapeuta che amasse ascoltare i miei sogni, ma purtroppo no. Ogni volta che ho tentato di raccontare i miei sogni, ho notato nel volto di chi mi ascoltava un’espressione rassegnata. Un sorriso di cortesia e a volte perplessità della seria “Non sarà che la sera mangi troppo pesante?” Ma nessuno li ha trovato interessanti per poter comprendere la mia anima.
Le uniche che ascoltano i miei sogni con particolare interesse sono Patrizia e Anna. Loro mi capiscono perché beh, in quanto a sogni sono messe peggio di me (o forse dovrei dire meglio? Dipende dai punti di vista).
Ci si interroga sempre sul modo di sognare delle persone che hanno una disabilità visiva. Chi è nato cieco e non ha mai “visto” con l’organo di senso della vista, ovviamente sognerà ciò che conosce con tutti gli altri organi di senso. Lo so che è difficile immaginare di poter vedere con altri organi che non siano gli occhi, ma ci vuole esercitazione ed esperienza soprattutto. Le persone che non hanno mai visto (così come lo intendiamo la maggior parte di noi) sognano suoni, odori, sensazioni e percezioni, vibraioni. Negli ultimi vent’anni è cambiato moltissimo il mio modo di sognare. Finchè ero ancora molto giovane sognavo il mondo a 360 gradi, nei sogni avevo un ottimo campo visivo e mi muovevo con disinvoltura, correvo, volavo, insomma tutto normale. Poi ho iniziato a non vedere tutto intero il mio interlocutore, a non percepire le cose laterali, a non vedere nella penombra. E sono iniziate anche le mie angoscie oniriche. Spesso nei sogni sono sola, vago in una città penombrosa senza una meta. Mi perdo. Tutto questo prima che un ascensore improvvisamente appaia travestito da cabina telefonica e mi porti da qualche parte per poi lasciarmi sospesa nel nulla. E anche in quel caso non riesco a visualizzare subito i tasti dei numeri, le maniglie delle porte… insomma, i sogni dovrebbero renderci liberi dalla realtà ed invece ultimamente riesco ad essere ansiosa pure quando dormo. Beh, ci sono però quei sogni pazzeschi in cui incontro personaggi per me supremi, come ad esempio Woody Allen che mi chiede di girare un film insieme a lui, mi parla dei suoi disagi psicologici e delle ultime storie d’amore. Io gli rispondo che sono una pessima attrice, ho avuto brevi esperienze di teatro e niente… non hanno mai avuto il coraggio di dirmelo chiaramente ma faccio pena! E poi altre cose che non si possono raccontare. Ad ogni modo i miei sogni spesso mi lasciano un senso di pace e serenità, a volte guardo, nei sogni, dei film meravigliosi, molto spesso bucolici oppure avventurosi. Spesso sogno mia figlia già grande e in questi sogni in cui ci avventuriamo su un treno la cosa buffa è che insieme stiamo andando a trovare proprio lei, mia figlia che nei sogni ha la capacità di sdoppiarsi ed essere in diversi posti contemporaneamente e avere due età contemporaneamente. Insomma. Tra le tante cose che amo fare e che amo essere ecco, c’è questa. Amo sognare. Ad occhi aperti, a occhi chiusi e spesso i miei sogni sono di grande ispirazione per i miei romanzi. Questo disegno, ecco, prendetelo un po’ così, non ne fate un dramma, considerate che sono quasi del tutto cieca e che per fare questo coso ci ho impiegato un bel po’… in ogni caso, è la rappresentazione di me che dorme e che sogna, più o meno in questa posizione, compresa di bocca aperta. Vi ho risparmiato la bava…

lunedì 25 marzo 2019

FOTOGRAFIA D'ASSALTO


FOTOGRAFIA D’ASSALTO
Simona Caruso
C’è un altro episodio che riguarda la fotografia e me. Questa volta non si tratta di fotografie artistiche, di paesaggi, di momenti di pura serenità. Questa volta si parla di fotografia… D’ASSALTO!
Per quanto la mia vita non sia particolarmente avventurosa ho avuto un paio di situazioni sul filo del pericolo di vita, ma giusto un paio ed ovviamente sono rimaste impresse nella mia mente dettaglio per dettaglio.
Il racconto risale all’epoca in cui vivevo a Catania e frequentavo l’università. Un giorno insieme ad una nuova, giovane e sprovveduta coinquilina andai ad una manifestazione davanti al prefetto. E’ trascorso tanto tempo e adesso non ricordo le motivazioni che ci spingevano a protestare davanti al prefetto, ma ricordo con esattezza che era una bellissima giornata di sole. Arrivai nel luogo della manifestazione molto in anticipo, come accade sempre, per poter studiare bene il territorio. Con il trascorrere delle ore aumentavano gli studenti, gruppetti di ragazzi e ragazze coloratissime che battevano sui bonghi, altri reggevano composti degli striscioni. In breve tempo la folla aumentò, il rappresentante degli studenti parlò attraverso un megafono, una delegazione salì su e scese un po’ scocciata perché il prefetto non c’era. Qualcuno o perché era arrabbiato o perché era ubriaco lancia una bottiglia verso il palazzo del prefetto e lì inizia il caos. Ora, avendo io questa fotocamera non potevo spostarmi e mettermi in salvo da un probabile pestaggio in cui, per la regola della selezione naturale i più deboli soccombono. No!! Dovevo assolutamente cercare di testimoniare l’evento, e fotografarlo. Poi avevo anche avuto l’idea di fotografare gran parte della folla mettendomi in un punto alto. Purtroppo madre natura non mi ha dato il dono dell’altezza. Scelgo un gradino sul palazzo del prefetto. Ma nonostante il gradino resto sempre bassa. Così casualmente mi volto e alla mia destra scorgo un ragazzo alto alto. Certo doveva essere già alto di suo ma sul gradino lo era ancor di più. Senza tante presentazioni gli chiedo se può farmi la cortesia di fotografare la folla che nel frattempo si era riordinata ed era passato il momento di agitazione. Il ragazzo alto alto di cui non vedevo bene la faccia mi sembra un po’ diffidente e con molta prudenza prende la mia fotocamera e senza dire una parola scatta qualche foto. Poi, sempre silenziosamente mi porge la fotocamera. Me ne accorgo perché per evitare di non vedere il momento in cui mi restituisce la fotocamera non la perdo mai di vista (perdendo però di vista tutto il resto). Riprendo la fotocamera e lo ringrazio augurandogli una buona giornata. Quando mi volto a sinistra per cercare di capire dove fosse finita la mia giovane coinquilina, la vedo, e soprattutto sento il suo profumo, accanto a me piegata in due per le risate
“Hai appena chiesto ad un poliziotto con il casco di fare delle foto per te dopo una rissa…”
Sì, lo avevo fatto. E chi l’aveva visto il casco? Mi è andata bene, e d’altra parte, come si fa a non fidarsi di una faccia come la mia? Se consideriamo le volte in cui ho detto di essere della stampa e sono stata creduta… beh in un’altra puntata vi spiegherò la magia della fotocamera in un soggetto con visione tubolare

mercoledì 20 marzo 2019

una canon un bastone e un'utopia

nina vola

Una Canon, un bastone e un’utopia
Simona Caruso
In principio era una macchina fotografica. Così si chiamavano un tempo, e avevano l’obiettivo piccolo,  il rullino Kodak, e lo zoom che usciva e rientrava.
Io ne avevo una un po’ più moderna, verso il 16 anni la portavo quasi sempre con me, l’ultimo scatto era sempre una pugnalata al cuore ma la gioia ricominciava quando toglievo il rullino per portarlo dal fotografo che aveva espsti poster di spose e bambini in abitino bianco o vestiti in maschera. Scatti eccezionali, unici, che non potevi cancellare. La camera oscura, la dedizione nell’arte di fotografare e di sviluppare immagini. Il prezzo eccessivo le dimensioni piccole che riuscivi ancora a vedere quasi bene.
Le mie prime fotografie raffigurano i miei amici, le nostre scampagnate, le gite, le feste di compleanno con tutti i parenti, il coro della chiesa, i primi baci…
La mia ultima “macchina fotografica” risale a 17 anni fa. Era il matrimonio di mio fratello, io facevo da testimone e come regalo chiesi una nuova macchina fotografica. Era già più moderna, leggera e fighissima ma sempre con l’obiettivo su cui poggiare l’occhio. Iniziavo ad avere difficoltà ad inquadrare gli oggetti ad adattarmi facilmente alle variazioni di luce. Poi un giorno si ruppe, la tenni per ricordo e ne comprai una moderna che non si chiamava più macchina fotografica ma il suo nome si era rivoluzionato in “fotocamera digitale”. L’dea di poter vedere l’immagine su uno schermo, di poter selezionare più immagini, di avere la possibilità di scatti infiniti, mi faceva sentire dio. La tecnologia ti da questa sensazione di onnipotenza che soprattutto i primi tempi non ti fa dormire la notte. La mia prima fotocamera digitale mi ha visto in numerosi scatti, non più di persone e di eventi straordinari, ma di natura, paesaggi, oggetti, animali, particolari… ricordo il mio interesse per i cancelli, i reticolati, i muretti in pietra, le insenature dei sassi. Scatti, quanti, non saprei forse migliaia…
Mi piaceva la luce del crepuscolo, quella che dipinge il cielo di un azzurro intenso e lunghe pennellate di rosso arancio. Ricordo una nave sul porto di Siracusa, il riflesso di questa sul mare, il tramonto alle spalle. Ed i sassi, quanti sassi ed un cancello nel nulla a delimitare un confine immaginario ed una rete per proteggere un orto. E l’immagine di due cani identici affacciati con i musi fuori le sbarre di una ringhiera, simmetrici guardano in direzioni opposte.
Ed oggi, con il mio telefonini provo ogni tanto a fotografare il mondo e mi stupisce sempre e mi piace, mi diverte, mi affascina ancora. Oggi mi affascina il mistero dietro ai miei scatti. L’altro giorno mi trovavo al Luna Park, uno di quei luna park che sostano in città e così come il circo fanno impazzire grandi e piccini. Giostre, musica a tutto volume diversa per ogni attrazione, bambini che corrono e che urlano in ogni dove. Un gran bel casino. Il sole non è così alto ormai, sono le 6 del pomeriggio e c’è quella luce, quella che continuo ad amare ancora oggi, che un po’ mi mette in ansia perché so che qualche secondo dopo questi colori meravigliosi giungerà per me l’oscurità. Mia figlia sale sui materassi rimbalzanti, si diverte, vola, ride (la sento ridere) vedo che si sposta su e giù legata a delle corde. Non riesco a vedere i suoi particolari, il suo volto, non riesco a vederla nell’insieme e non riesco a percepire nemmeno tutto quello che ho intorno,non riesco a vederla bene perché non posso sentire bene a causa del volume troppo forte della musica. Ma mi sembra ugualmente un’immagine meravigliosa così, come la vedo nella mia mente. Allora prendo il telefonino, indovino dove si trova la fotocamera, il contrasto luce mi permette di vedere l’immagine che si alza e si abbassa di mia figlia. Scatto. Il trucco, dico per farmi vedere esperta, è quello di scattare quando sta giù, così l’immagine viene impressa esattamente nel momento in cui si trova sospesa in aria. Sì, mi sento grande solo per questa intuizione. Faccio una due tre un sacco di foto. Poi torno a casa, rivedo le foto ingrandite una per una. Spettacolari! Vedo il sorriso di mia figlia che ha lo sguardo rivolto verso di me, l’immagine non è nemmeno sfocata. Fantastica!
Decidiamo di andare via dal Luna Park che è già buio, per me, non vedo niente, è un posto nuovo, devo prendere ill bastone!
Ma se ho appena scattato delle fotografie?
Ma intanto non ci vedo più. Non è più come poteva essere qualche ora fa (anche se pure qualche ora fa avrei comunque avuto bisogno del bastone).
Sì, tanti “colleghi” per definirli così non comprendono perché tante paure a prendere un bastone bianco se poco prima ci eravamo concessi degli scatti. Altri addirittura si indispettiscono perché hai avuto la fantasia di fotografare (per molti ciechi l’immagine è un tabù come il sesso per i bigotti) ed altri ancora ti dicono che dovresti intercettare gli sguardi meravigliati e fare una propaganda di informazione spiegando come sia possibile l’arcano. Quando invece tu, molto semplicemente vorresti essere soltanto libero di vivere.
Ho sempre sognato questa immagine, una donna, una turista, con berretto da turista e occhiali arancioni, passeggia su di un sentiero. Con la mano destra regge il bastone che fa oscillare o ruotare da una parte all’altra e a tracolla poggiata sul cuore una Canon, una di quelle con il grandangolo. E pensa a ciò che dovrà fotografare, non pensa a nient’altro. un sogno, una utopia. Cosa accadrebbe oggi se qualcuno pensasse di fare una cosa del genere? Forse niente, forse passerebbe inosservato o forse qualcuno vedendolo penserebbe “falso cieco!” e nel peggiore dei casi glielo urlerebbe contro, perché ormai le persone sono diventate brutte e cattive e non si preoccupano di ferire con le parole.
Ma finchè ancora ci riuscirò, in un modo che non riesco a spiegarvi, io proverò a fotografare, meravigliandomi di quelle immagini che inconsapevolmente ho afferrato e di tutte quelle cose che ho visto solo con la mia mente impresse nella mia anima.
L’immagine è una poesia muta diceva Leonardo,ed è proprio così, è il riflesso della vita dentro di noi

lunedì 11 marzo 2019

PREGIUDIZI E STEREOTIPI NEL 2019



Sono la quarta dopo tre figli maschi. Spesso lamentosa, musona e solitaria. Certo! Ero viziata perché unica figlia femmina.
L’altro fratello era viziato perché ultimo di tre figli maschi…
Mio cugino Salvatore non voleva mangiare perché figlio unico…
Fardelli, pregiudizi, pesi insopportabili per bimbi e genitori.
E’ da un po’ di mesi che faccio una lunga ricerca sulla questione, per capire se a livello scientifico ci sono delle corrispondenze. La risposta è assolutamente negativa. Niente di scientifico sui pregiudizi riguardo i figli unici
SONO VIZIATI
Avere maggiori attenzioni non è sinonimo di “viziato”
Ficcatevelo bene in testa!
Dare ad un bambino la possibilità di vedere posti nuovi, praticare attività che gli piacciono, informarsi se qualcosa nel suo comportamento o nel suo andamento scolastico non va bene, non vuol dire che cresca viziato e capriccioso. Riempirlo di giocattoli inutili è un conto, costriure attorno un ambiente di strumenti stimolanti è un altro conto.
Conosco bambine con sorelle e fratelli che ogni uscita è una “fesseria” comprata in edicola.
E’ EGOISTA
A differenza dei figli che hanno fratelli, i figli unici non vivono la competizione e l’ansia del proprio territorio perciò sono più generosi e socievoli con gli altri. In famiglia si impara a condividere e a stare con gli altri solo se i genitori aiutano a crescere in questo senso. Ho visto più altruismo e generosità nei figli unici che in quelli “costretti” a dover dividere tutto possibilmente subendo prepotenze da parte di fratelli e sorelle.
Ancora oggi nel 2019 se mia figlia si lamenta per qualcosa “E’ figlia unica vero???”
Ma fammeli tu altri dieci figli!
Di fronte le crisi emotive di mia figlia aspetto che le passino senza lasciare che rompi le scatole al resto del mondo. cerco di farle capire che non serve fare una tragedia per ogni cosa. Non l’assecondo, non le do ragione, non insisto con gli altri perché le diano quello che vuole. L’unica cosa che posso fare è quella di aspettare che comprenda.
Ma che cosa ne sapete voi!
E nemmeno la massacro di legnate come tanti benpensanti pensano sia giusto fare. perché nella storia dell’educazione sociale, le bastonate hanno portato solo a questo: a sfornare uomini e donne frustrati che nel migliore dei casi riversano le loro frustrazioni verso chi considerano più debole.
Questo è quanto.
Sono stanca. Stanca di dovermi continuamente sentire giudicata, analizzata e additata da un pugno di incompetenti. Accetto valutazioni e suggerimenti solo da chi è in grado di poterlo fare.
Voi e i vostri pregiudizi non fanno altro che demotivare e abbassare l’autostima di chi combatte ogni giorno per la propria serenità.
Viviamo in una società che tende ad omologare tutto e tutti, a partire dai bambini. Ed un bambino per essere “diverso” da un altro o è etichettato in una delle variegate etichette che si annoverano tra i disturbo di apprendimento e comportamento, oppure niente da fare, è semplicemente viziato. E se non è perché è figlio unico sicuramente è viziato perché il padre è ragioniere, oppure perché ha due cani marroni, oppure perché vive al mare…
Tante volte l’unico vero problema siamo soltanto noi

sabato 2 marzo 2019

Un carnevale dopo l'altro

È vero, a qualcuno che è troppo vecchio dentro, le tradizioni e il susseguirsi delle stagioni non piace molto, Anzi prova quasi insofferenza per chi invece magari attraverso gli occhi dei bambini riesce a provare gioia... il carnevale è una festa che da bambina ho amato moltissimo. Mai comprato un vestito di carnevale, sempre cuciti di sana pianta dalla mamma, moltiplicato x 4 figli. Ricordo ancora il vestito da scheletro che fece per mio fratello disegnando e ritagliando sul Pannolenci bianco tutto lo scheletro alla perfezione che aveva ricopiato da un atlante del corpo umano. I vestiti che ricordo con più gioia perché hanno letteralmente fatto esplodere la mia fantasia sono un vestito di farfalla con antenne fornite di un interruttore che da qualche parte del vestito riuscivo ad accendere e che si illuminavano e il vestitino da Squaw con tanto di marsupio per Cicciobello anch'egli vestito da piccolo indiano. Il carnevale era in assoluto la festa dell'immaginazione anche quando ormai grandi non perdevamo occasione per poterci travestire ancora. Ricordo un coloratissimo spassoso vestito da caramella, un romantico vestito da fantasma con il quale mi ero mascherata insieme al mio primo amore... e poi ancora un vestito da tovaglia imbandita durante una sfilata con i ragazzi del coro... poi la nascita di un piccolo sole che abbiamo voluto chiamare col nome di Nina ha dato senso a tutte quelle feste che purtroppo ero riuscita ad odiare ad un certo punto .. così un carnevale dopo l'altro siamo giunti fin qui! Il carnevale del decimo compleanno ha un significato speciale. Anche quest'anno la mamma ormai nonna è riuscita a creare qualcosa di fantastico. Nell'attesa di poter lanciare ancora coriandoli perché, noi siamo cresciuti ma non siamo mai troppo grandi per essere felici! E se la felicità quella per cui si salta, quella per cui si prova Gioia lanciando coriandoli, quella per cui ogni festa è una scusa buona per far casino... se questa felicità deve appartenere solo ai bambini, allora sì, vogliamo restare bambini per sempre! Ma per fortuna, siamo così talmente alieni da sapere che la felicità appartiene solo a chi la sa vivere veramente E nonostante tutto