mercoledì 1 aprile 2020

Un pesce d'aprile che inizia con la A

Un pesce d'aprile che inizia con la A

Sto pensando che, è brutto dirlo, data la situazione, ma sono contenta che questo primo di aprile lo trascorreremo in casa. Non siamo costretti ad andare a scuola e far finta che ci piacciono gli scherzi del primo d'aprile. Hanno tentato in tutti i modi di farci comprendere che gli scherzi li dovevamo proprio comprendere, che con il tempo li avremmo compresi. Ci dicevano "ma a casa vostra non scherzate mai?", che è un modo sottile (nemmeno troppo) di farci sentire in colpa. Il fatto è che gli scherzi lei proprio non li capisce. Non solo non li capisce ma la fanno sentire a disagio, triste, arrabbiata. So che voi non riuscite a capirlo e che pensate che si tratti solo di un capriccio, solo perché è viziata oppure perché è suscettibile. Ma lei è così. In questi mesi proiettata in questo nuovo mondo, ho compreso tante cose persino sulla mia disabilità visiva. In che senso? Mi direte voi. Beh, prima di avere una diagnosi sembrava cosa fondamentale l'omologazione di mia figlia al resto della società. Per insegnanti psicologi e quant'altro lo scopo principale sembrava essere quello di camminare al pari con gli altri. Se tutti fanno così lo devi fare anche tu. Questo le dicevano. Così come esistono molti modi di vedere e non vedere, esistono molti modi di essere.  Così come vi è difficile comprendere la mia disabilità visiva vi è incomprensibile accettare il fatto che una persona che non è muta, non è ritardata e capisce la storia così come la capisci anche tu, possa essere autistica. E così il mondo dei parenti, degli amici, il mondo che ci circonda, si divide tra negazionisti, complottisti e tragico moralisti. La verità è che la diagnosi di mia figlia io l'ho conosciuta da sempre e ho sempre pensato al di là del nome e di un'etichetta che la sua più grande sofferenza era quella di non essere compresa. La sentivo come un'estranea a questo mondo. Lei non riusciva a comprendere molti meccanismi di relazione e parallelemente gli altri non riuscivano a comprendere lei. Adesso camminiamo con più consapevolezza verso la strada dell'autostima, della comprensione e soprattutto della felicità. Al di là del nome che si voglia dare: autismo, Asperger, adhd... Io credo molto più semplicemente che le persone debbano essere comprese e rispettate sempre per quello che sono. C'è una frase molto bella che voglio condividere con voi, pronunciata da una delle professoresse straordinarie di mia figlia: se un alunno ha bisogno di aiuto, io lo aiuto a prescindere dalla diagnosi. Il concetto molto semplice è questo: posso provare a farti comprendere quanto siano divertenti gli scherzi, ma se alla fine a te non divertono e se dopo tanto tempo non riesci a comprenderli devo accettarlo e basta semmai posso aiutarti ad attuare tecniche di sopravvivenza di fronte ad uno scherzo. Insomma alla fine se c'è una cosa che ho compreso in tutti questi anni molto in salita della mia vita, è che tutti possiamo imparare gli uni dagli altri con un unico scopo imprescindibile: ESISTERE

giovedì 5 marzo 2020

Sogni: volare su palloncini colorati


E' da tanto che non aggiorno l'etichetta dei sogni. Il sogno che sto per raccontarvi sarà stato sicuramente ispirato alla vicenda terribile ascoltata (mio malgrado) ieri sera su “chi l’ha visto?”. La premessa numero uno è la seguente. La triste vicenda del programma TV raccontava di una donna "caduta" dal quinto piano di un palazzo.
La premessa numero due è che per la prima volta sogno un balcone e non ho paura, nonostante questo sogno sia nato (probabile) dalla notizia di una morte tragica ascoltata in TV. Il balcone nel mio sogno diventa un simbolo di libertà e non di morte.
Mi trovavo nella mia casa d’infanzia, nel salone. Ero circondata da palloncini colorati, alcuni da gonfiare, altri già gonfi. Decido di unirli tutti insieme ad uno spago per potermelo legare alla vita e provare l’ebrezza del volo. In realtà più che svolazzare speravo di poter discendere dal settimo piano in cui mi trovo, fino al cortile planando lentamente. Faccio un po’ di calcoli, mentre lego i palloncini allo spago: calcolo di potermi riposare tra un piano e l’altro appoggiandomi alla ringuera dei balconi. Poi, siccome anche nei sogni sono altruista penso di scendere (prendendo le scale) e avvisare le persone che stanno in quel momento nel cortile di non preoccuparsi di ciò che vedranno da lì a poco, che non si tratta di una tipa che sta per compiere un terribile gesto ma sono io, che ho deciso di volare legata ad alcuni palloncini colorati. Le persone mi guardano perplessa (da notare che in questo sogno decido di prendere le scale e non l’ascensore). Risalgo velocemente e continuo il mio lavoro. I palloncini mi sembrano in realtà molto piccoli e mi chiedo se riusciranno a sorreggermi per sette lunghi piano ovvero venti lunghi metri. La sensazione è di gioia profonda e infantile, senza considerare il fatto che nella vita reale soffro terribilmente di vertigini e non mi affaccio quasi mai da un balcone, semmai da una finestra ma da un balcone, al settimo piano, proprio mai. Finisco il mio lavoro con i palloncini pronta a provare questa meravigliosa esperienza. Lego lo spago (nemmeno tanto resistente) alla vita, esco fuori sul balcone e osservo i palloncini colorati che iniziano ad agitarsi nel vento. Prima di partire mi ricordo che c’è un piccolo palloncino a elio in casa e che potrebbe servirmi se per caso decidessi di tornare indietro (pensiero assurdo). Così decido che tenendolo con la mano destra non mi impedirà di scendere, mentre mi farà risalire tenendolo con la mano sinistra. Bene, quando è tutto pronto scavalco la ringhiera e via. Come avevo immaginato la sensazione non è quella di precipitare ma di planare, ed è molto piacevole. Supero il sesto piano, supero il quinto, dove ci sono alcuni panni stesi che essendo bagnati mi si appiccicano in faccia , sento il profumo intenso di ammorbidente e aria fresca di mare e di fiori. Sembra tutto perfetto ma, giunta al quarto piano i palloncini iniziano a scoppiare, non tutti insieme ma uno ogni tanto. Lancio un'occhiata allarmata alla prima esplosione, in quel momento sento che precipito, passo il palloncino a elio nella mano sinistra ma questo si sgonfia lentamente. Il tempo si ferma, non precipito, non salgo ma rimango sospesa tra il quarto, il terzo piano e il cemento. Cerco di raggiungere la ringhiera del quarto piano ma sono troppo distante. La ringhiera del terzo piano sta in basso e non voglio abbassare lo sguardo per guardarla, tendo le braccia verso il quarto piano ma niente da fare. Il vento si è fermato e con lui ogni bella sensazione. In quel momento penso a Davide e ai suoi possibili pensieri mentre si trovava tra il quarto piano e il cemento del cortile, e mi chiedo: “porca vacca perché dovevo pensare proprio a lui?”. Nel sogno il mio campo visivo si apre e mi sembra di vederlo, Davide, con la coda dell’occhio sinistro, proprio nella mia stessa posizione, davanti a quel palazzo accanto al mio, solo che lui non è legato a niente, non ha nessuna speranza se non quella di un misterioso arresto temporale. Mi sento terribilmente triste, osservo rassegnata i palloncini che stanno per sgonfiarsi o che esplodono. Il palloncino ad elio inutile e sconfitto sembra volermi rimproverare, e lì tutto floscio che mi dice: "ma chi te l'ha fatto fare?", ma proprio in quel momento accade una cosa misteriosa, tipica dei sogni. Il palazzo si avvicina a me. Lo sento meno distante, riesco a percepire la sua vicinanza e di nuovo il profumo di ammorbidente e il vento. Stendo le braccia più che posso e raggiungo la ringhiera del quarto piano. Mi aggrappo, scavalco e sono salva. Mi libero di quei maledetti palloncini, mi sento mille sospiri di sollievo riempirmi i polmoni. Prima di entrare nell’appartamento di quel quarto piano porto lo sguardo verso il palazzo a fianco. Davide non c’è più.
Non ricordo cosa ho pensato ma dato che si trattava di un sogno, spero che almeno in quel sogno si sia potuto salvare.


martedì 27 agosto 2019

leggere scrivere e noi attorno


Ci sono storie e storie e ci sono poi intrecci di storie.
La ragione per la quale mi piace raccontarvi alcune cose che mi accadono è perché le ritengo importanti non soltanto per me che le scrivo e che le ho vissute, ma anche per voi che mi leggete.
Comincio col dire che, nonostante tutto, sono stata una persona fortunata. Ho avuto la fortuna di circondarmi di situazioni e persone belle che ho scelto volutamente ma a volte sì, sono piovute dal cielo. Ho avuto la fortuna di incontrare persone potenti, empatiche, rivoluzionarie, uniche, fondamentali, che hanno fatto e continuano a fare la storia del nostro Paese. Instancabili. Forse per voi le fortune sono altra roba, come avere una bella casa, un bel lavoro, la salute, tanti amici, essere popolari, l’aperitivo il fine settimana e così via, ma sono certa che la fortuna sia un’altra cosa. Potrebbe essere, ad esempio, vivere in un intreccio di persone che sanno cambiare il mondo. Non voglio scrivere il diario di ciò che ho fatto in questi due giorni durante un workshop in un posto lontano dal mondo, ma voglio condividere con voi innanzitutto una frase, che ho sempre portato dentro, da qualche parte per tutto questo tempo e l’altro giorno come per magia è venuta al mondo, dalle parole di Erica:
“Scrivere è fare politica”
Intendiamo il significato “politica” nella sua accezione più pura e così, come una successione di ricordi, sensazioni e letture, mi sono venuti in mente gli uomini e le donne, che hanno fatto POLITICA scrivendo, e che per questo amo profondamente:
Pier Paolo Pasolini, Proust, Neruda, Sepulveda, Alda Merini, Hugo, Kafka, Umberto Eco, Dostoevskij, Hannah Arendt, Virginia Wolf, i fratelli Grimm, Thomas Mann, Erri De Luca…
Leggo tutti questi nomi (e ce ne sono molti altri) e penso che non sarò mai una scrittrice così, ma sono certa in un preciso momento, io e loro, abbiamo condiviso qualcosa e di questa cosa sono terribilmente orgogliosa. Scrivo da quando avevo soltanto sette anni e sapevo scrivere tanto e male, scarabocchiando e riempiendo quaderni e quaderni di orrori e refusi. Ero incosciente e affamata di storie. C’era questa cosa che mi costringeva ogni giorno a sedermi alla mia scrivania e prendere una penna in mano. Avevo il callo dello scrittore sul dito della mano sinistra, ne ero orgogliosa più di ogni altra cosa. Nasceva in me come una fiamma e scorreva dal cuore al braccio, dal braccio alla mano, dalla mano alla penna, dalla penna all’inchiostro, dall’inchiostro al quaderno. E infine esplodeva e dal momento in cui esplodeva il mondo attorno cambiava. Ecco, è questo ciò che penso mi accomuni a tutti coloro che hanno amato e amano scrivere.
In questi giorni ho avuto la fortuna immensa di poter condividere questo stato di grazia insieme ad altre persone, folli, come me. Una manica di “malati di libri” trascinati lì dalla voglia di scrivere, di leggere, di condividere, di raccontare, di esserci, di dare più che di ricevere ed infine di ricevere, con umiltà, come è giusto che sia.
Ma voi mi capite quando dico che ho avuto la fortuna di essere circondata da persone intelligenti? Sì, per me è una fortuna, è così difficile oggi trovare un briciolo di intelligenza in giro! Mi riferisco alla capacità di voler conoscere il mondo, non al grado di scuola frequentato e poi, sì, dai, anche a quello ma soprattutto alla capacità, al desiderio più che altro, di conoscere. Non ho dovuto faticare per far comprendere la mia diversità e io stessa non ho dovuto faticare per comprendere le peculiarità di ognuno, ed ho compreso che non esisto soltanto io e i miei dannatissimi limiti, ma esiste l’altro, che non è mai così come vorremmo, ma spesso è anche meglio. Non ho mai patito la solitudine, che invece mi capita di sentire in contesti più famigliari; non ho mai dovuto chiedere e non ho mai dovuto chiedermi “ma avrò fatto bene a venire qui?” come invece è capitato di fare in ambienti in cui la disabilità era l’unica cosa in comune; non ho mai sofferto per i miei limiti, non ho mai pianto per non poter fare qualcosa (e non è una cosa normale per una persona  come me che spesso si ritrova a non poter fare qualcosa), e di tutto questo stato di grazia e di amicizia e di empatia ringrazio profondamente le persone  che hanno vissuto insieme a me in questi giorni.
Non è semplice comprendere “come fare” quando ti trovi di fronte ad una persona diversa da te e molti per paura preferiscono non avvicinarsi e non è semplice, in un mondo di stereotipi, comprendere che una persona possa utilizzare un bastone per ciechi (ed ipovedenti) e contemporaneamente  scrivere con un pennarello e leggere.
Non è facile, ma loro ci sono riusciti. La difficoltà più grande che ho riscontrato durante la mia esistenza è stata sempre quella della comprensione. Durante la presentazione, Venerdì, ho spiegato in due minuti, e non di più, tutto ciò che è importante spiegare quando incontro persone nuove e nessuno ha fatto la battuta idiota del signor Massimo Giletti quando ho detto che in determinate situazioni di poca luminosità divento cieca del tutto, così come accade al tramonto. Il Giletti rise dicendo “Anche io non ci vedo al buio” senza capire che un conto è il buio un altro la poca luce (come quella dei faretti) con la quale tutti riescono ad avere percezione delle cose. Sono stati indubbiamente grandiosi per aver compreso e basta senza farmi mai sentire a disagio o con gli occhi puntati addosso. Ho visto piuttosto molta solidarietà e di questo ne sarò sempre grata.
Infine, e questo messaggio lo rivolgo ai miei “colleghi” di disabilità, ci tengo a comunicarvi questa mia certezza: spesso vi lamentate perché incontrate persone che vi trattano male, spesso vi trovate male in contesti in cui siete tra persone “normali” e anche tra vostri “simili”… mi viene da pensare che forse, tanto, dipende da voi. Se vi ponete con gentilezza e non con quella presunzione e quella durezza d’animo che abbiamo spesso noi “disabili” forse le persone avranno piacere di aiutarvi. Dicendo questo mi rendo conto che si dovrebbe aprire un altro discorso e non finirei più di scrivere. E’ vero, viviamo in un mondo in cui è difficile essere diversi e spesso, tante volte, essere autonomi ed indipendenti a causa di mille barriere, architettoniche e mentali e questo ci fa molto arrabbiare, giustamente. A volte però ci troviamo in un contesto di persone che vogliono aiutarci tra mille barriere e difficoltà. E’ come la storia del fumatore senza accendino di cui parlava Silvia: nessuno è più socievole di un fumatore senza accendino, così allo stesso modo anche un limite ed una difficoltà possono essere un punto di partenza per istaurare rapporti di conoscenza che possono cambiarci la vita. Anche in questo caso ci vuole intelligenza, sensibilità ed empatia, stavolta da parte “nostra”.
Simona Caruso

mercoledì 26 giugno 2019

27 Giugno 2019 giornata delle persone sordocieche


In occasione della giornata delle persone sordocieche voglio raccontarvi di me, di Cinzia e della sindrome di Usher.
Per una serie di ragioni, mi sono ritrovata a interessarmi in modo più attivo alla mia patologia e alla disabilità sensoriale visiva dall’Estate 2014. Conobbi molte persone, virtualmente ma non solo. Nella mia stessa città, a pochi chilometri da me, vive Cinzia.
Venne a casa mia un pomeriggio di quell’Estate insieme alla sua mamma e dato che era la prima volta che ci incontravamo parlammo molto. Lei aveva quel modo unico di parlare che hanno le persone con la sindrome di Usher. Mi raccontò la sua storia che inizia con una lunga processione per accertare, verso i cinque anni un’ “ipocausia”ovvero difficoltà a sentire. La prima cosa che si fa allora è quella di acquistare delle protesi acustiche che alcune mamme nascondono dietro i capelli lunghi, altre no. Bisogna fare logopedia per imparare a pronunciare bene le parole e sviluppare tutte quelle tecniche per poter comunicare al meglio con le persone. La prima tecnica di comunicazione che viene utilizzata dalle persone sorde è sicuramente la “lettura labiale”. Insomma, la disabilità per Cinzia è per lo più un fatto di comunicazione. Con il tempo però si individua un aspetto mai compreso prima: difficoltà a vedere bene o del tutto in determinati condizioni di luminosità e non solo. Cinzia, ad esempio,  non vede bene la sera, non vede bene i contrasti, i gradini e con il tempo non vede bene lateralmente con il suo campo visivo.
E così inizia una nuova vita: la vita di una persona affetta da sindrome di Usher.
Fino a quel pomeriggio del 2014 io non mi ero mai resa veramente conto della mia grande fortuna nel poter sfruttare l’udito. Mi vantavo spesso della mia capacità di individuare gli oggetti che cadevano senza dover fare lo sforzo di cercarli con gli occhi o ripulire il pavimento con le mani. Se mi cadeva una forchetta io mi abbassavo e la mia mano andava esattamente nel punto in cui l’avevo sentito cadere. Certo la stessa cosa non si può fare con oggetti che rotolano o sono talmente leggeri da spostarsi da una parte all’altra alla velocità della luce. Insomma, era scontato per me il fatto che chi non riuscisse a vedere bene, o del tutto, si aiutava con il secondo importante senso tra i 5 sensi: l’udito.
Per la prima volta mi resi conto di questa realtà che non avevo mai preso in considerazione prima, avevo sempre pensato ai sordociechi come persone che nascono una tantum; avevo visto un film “Anna dei miracoli” in cui la bambina è del tutto sorda e del tutto cieca, ma non avevo mai pensato a quelle vie di mezzo che accadono invece molto di frequente in Italia e in tutto il mondo. Da quel pomeriggio insieme a Cinzia, ho incontrato sempre più persone con la sindrome di Usher: alcune con l’impianto cocleare, altre con le protesi ed altre ancora senza protesi con enormi difficoltà di comunicazione.
Quelle rare volte in cui mi è successo di trovarmi in un posto super affollato con la musica altissima mi sono resa conto delle grandi difficoltà che devono affrontare quotidianamente le persone sordocieche. Non poter avere il senso dello spazio che chi non vede percepisce con l’udito; non riuscire ad afferrare al volo non solo uno sguardo ma anche un saluto, un richiamo, una parola… E pensare che questa che è tra le più gravi disabilità sensoriali, non viene nemmeno riconosciuto nel modo giusto in cui dovrebbe essere riconosciuta, per legge! Ed è proprio per questa ragione che una giornata dedicata alle persone sordocieche non può bastare. Oggi perciò oltre a leggere queste parole, che raccontano un’esperienza seppur indiretta con la sordocecità, vi invito a visitare la pagina Sordocecità per la modifica della legge 107/10 e di leggere attentamente le conseguenze della doppia minorazione vista-udito sulla vita delle persone che ne sono colpite, e vi invito a soffermarvi sulle inadeguatezze di una legge italiana che non rispetta la gravità di una disabilità come la sordocecità.

-Cinzia lo sai che ieri ho incontrato tizio caio sempronio e poi tizio mi ha detto che caio… e l’altro giorno invece… ma ti rendi conto?! Io alla fine gli ho detto… e insomma credo non sia giusto… storia della filosofia e storia medievale insieme in un’unica sessione… capisci qual è il dramma? Cinzia? Cinzia ma mi stai ascoltando?
- (Cinzia voltata di spalle che prepara il caffè si gira verso di me con la faccia a punto interrogativo e la tazzina in mano) Ma stai parlando con me?? Minchia ma lo sai che quando sono girata di spalle non ti sento!!


venerdì 21 giugno 2019

ADDIO E GRAZIE PER TUTTO IL PESCE! intervista ad un'alunna di quinta elementare nel giorno delle pagelle


ADDIO E GRAZIE PER TUTTO IL PESCE!
intervista ad un’alunna di quinta elementare nel giorno delle pagelle
- E’ terminato il primo ciclo di scuola dell’obbligo, quella che si definisce “scuola primaria”. Quali sono le tue impressioni, così, a caldo?
Beh, diciamo che è stato un inferno e sono felice di andarmene in un’altra scuola anche se mi mancherà la maestra M e la storia
- La storia si insegna anche alle scuole medie
- Ah!
- Hai detto che è stato un inferno, sai definire la parola “inferno”?
Certo! Bambini che urlano, per tutto il giorno, continuamente. Si arrampicano sugli armadi, prendono a parolacce le maestre, insultano i compagni chiamandoli negra, mongoloide, spastico, tu non sei normale… E considera che soltanto una maestra riesce a farsi ascoltare…
- Da cosa dipende secondo te il fatto che riesca a farsi ascoltare
- E che ne so, forse perché ci conosce dalla prima elementare?
- E le altre maestre?
Ho cambiato più maestre che scarpe in questi 5 anni
- Qual è stato l’anno migliore
- La seconda elementare
- E l’anno peggiore?
- La terza. La terza elementare è stato l’anno peggiore in assoluto. Avevo costantemente l’emicrania, pensavo che la mia testa potesse esplodere da un momento all’altro e la mia voglia di vivere era finita del tutto
- Qual è l’insegnamento migliore che hai ricevuto in questi 5 anni?
- A me piace la storia, mi è piaciuto molto studiare le città di Sparta e Atene
- Intendo un insegnamento di vita, qualcosa che è servito per la tua crescita e ti servirà anche per il futuro
- Che bisogna rispettare gli altri e non usare la violenza
- La cosa più bella che qualcuno ha fatto per te (compagni o maestre)
- Una volta G mi ha regalato un disegno bellissimo
- Una cosa bella che hai fatto tu?
- Dividere la mia merendina con C che l’aveva dimenticata e piangeva, e alla fine siccome aveva troppa fame gliel’ho data tutta
- Cosa ti aspetti dalle scuole medie
- Studiare tutto il pomeriggio e poi finalmente ci insegneranno a disegnare come si deve, con le teniche da disegno serie
- Sei soddisfatta di questa pagella?
- Sì beh, diciamo, ho avuto dieci in informatica e nove in inglese, sì direi di sì, anche se a me la storia piace tanto… otto… ma va bene!
- Sono solo numeri! Il giudizio ti piace?
- Ho cercato su Google il significato della parole discontinuo perché non lo capivo. Ho fatto troppe assenze? Maledette adenoidi!!!
Nove in Inglese, benissimo! Dimmi una frase in Inglese
Listen to me, mom! I’m talking in english very well
- Cosa vuoi dire ai bambini che si apprestano a frequentare la prima elementare
- Che devono essere sempre rispettosi sia con i compagni che con le maestre e soprattutto che non devono mai abbattersi per le piccole cose

martedì 28 maggio 2019

sognando



Sono una sognatrice compulsiva, credo di averlo detto centinaia di volte ma non mi stanco mai di ripeterlo. Sogno tantissimo, mentre dormo e soprattutto mentre sono sveglia. Stanotte ho dormito poco ché sono stata tormentata dal risultato delle elezioni e dal mal di testa, ma durante quelle poche ore di sonno ho fatto un sogno dei miei, uno di quei sogni simpatici che mi piace raccontare. Ero ad una cerimonia, luogo sconosciuto e situazione insolita. C’erano persone famose, lampadari di cristallo, banchetti di cocktail e antipasti e per fortuna tanta luce. Indovinate chi era la protagonista della serata? Proprio io. Essendo un sogno in soggettiva, ahimè, non sono riuscita a vedere come fossi conciata per l’occasione. Spero di essere stata per lo meno decente, che qualcuno sia riuscito a truccarmi e che non abbia avuto ai piedi le solite scarpe da ginnastica. Tra un convenevole e l’altro con persone a me sconosciute, mi ritrovo sul palco, o quello che doveva essere un palco, tra gli applausi. Comprendo, nello strano modo di comprendere dei sogni, che si tratta di un premio per la migliore sceneggiatura. La cosa mi rende ancora più felice, era stata per me una sorpresa, come se qualcuno mi avesse portato lì a mia insaputa - e a questo punto credo davvero di aver avuto ai piedi le scarpe da ginnastica-. L’evento mi riempie così tanto di gioia che non riesco a parlare e comincio a balbettare in uno straordinario e scorrevole inglese. E mentre sono lì che balbetto qualcosa al cospetto di una presentatrice in abito lungo e un qualcuno simile a Tim Burton dai capelli rossi, ecco che appare proprio al centro del mio campo visivo Woody Allen! Lui è lui con tutti i suoi anni -di solito l’ho sognato ancora giovane- e mi sorride. Così continuo a balbettare frasi che fanno sorridere e ridere tutti i presenti in un misto di commozione e tenerezza
<<I thing you are special>>
Dico fissando Woody Allen negli occhi che stranamente riesco a vederli entrambi senza dover scegliere tra l’occhio destro e il sinistro.
Poi lui mi prende le mani, i miei occhi si trasformano formando cuoricini perchè nonostante tutti I suoi anni, porca miseria, è il mio Woody Allen, l’uomo che ha contribuito alla mia costruzione emotiva, immagine dell’altro e distruzione sociale: il mio miglior psicoterapeuta insomma! Lui mi prende le mani e continuando a guardarmi dice qualcosa che non riesco a capire ma faccio lo stesso di sì con la testa e sempre balbettando gli rispondo
<<I love you>>
E poi mi sveglio che una zanzara mi aveva punto sul naso!

giovedì 4 aprile 2019

Io scrivo

Io scrivo
Simona Caruso
Quanti ricordi il mio primo computer! Era grigio enorme e pesantissimo, composto da monitor, tastiera, mouse, casse. Era tutto nuovo e per me magico. Avevo esplorato con stupore Internet per la prima volta e avevo per la prima volta compreso la differenza tra i nuovi computer e il commodore64, ma soprattutto, il motivo per cui l'avevo comprato era ciò che veramente mi interessava e ciò poter scrivere nello stesso modo in cui sono scritti i libri. Avevo avuto una macchina da scrivere di quelle moderne e tecnologiche ma un computer sarebbe stato qualcosa di grandioso per me. Mi si apriva un nuovo mondo e un nuovo modo di scrittura. Avrei provato le stesse sensazioni che provavo sin dall'età di sette anni ogni volta che mi trovavo una penna tra le mani? Avrei provato quell'ardore indescrivibile che scaturisce dall'ispirazione e ti invade l'anima e poi finalmente esplode attraverso la tua mano fino a raggiungere un foglio? Le sensazioni sarebbero state indubbiamente diverse perchè l'atto grafico di scrivere è qualcosa che nessun altro strumento può eguagliare, eppure, da quel giorno, dal giorno in cui un computer entrò a far parte della mia vita, io non smisi mai di scrivere. Ero ancora molto affezionata alla penna e al foglio di carta con il suo frusciare ma di giorno in giorno la penna diventava sempre troppo chiara e scrivere con i pennarelli richiedeva un numero enorme di fogli. inoltre scrivere con uno schermo retroilluminato mi evitava tutti i fastidi che mi procurava invece la luce naturale e artificiale esterna. Il primo obiettivo doveva essere quello di imparare a scrivere il più velocemente possibile perchè scrivere lentamente faceva perdere l'entusiasmo e l'ispirazione. All'inizio cominciai a copiare, cercando di trovare il metodo più semplice per poter scrivere senza dover guardare la tastiera. Lo imparai da sola, per errori e tentativi. Imparai a scrivere utilizzando quattro dita: indice e medio di entrambe le mani. Mi ci volle davvero poco per poter imparare la tastiera a memoria e orientarmi senza dover guardare i tasti. Dopo qualche anno al corso di centralino mi insegnarono a scrivere con dieci dita, lo imparai ma per quanto la cosa vi potrà sembrare assurda io sono molto più veloce con le mie quattro dita. 
Ci sono stati molti cambiamenti da allora, i miei caratteri su Word si sono ingranditi poco a poco, così come lo zoom della pagina, la grandezza delle icone, dei caratteri dello schermo e di internet. La mia voglia di scrivere quella non è cambiata mai. Spesso è la stessa voglia di scrivere che mi prendeva improvvisa in certi pomeriggi d'estate, quando tutti i bambini andavano in bici ed io restavo a scrivere per ore e ore, e niente riusciva a disturbarmi, nè le mosche in campagna, nè l'afa nelle ore più critiche. E anche oggi mentre fuori piove in questa primavera ancora fredda, trovo uno spazio in un mondo parallelo e scrivo e penso che tra i doni più belli che una persona possa ricevere nella vita, quello di scrivere è sicuramente tra i più belli e potenti