mercoledì 20 marzo 2019

una canon un bastone e un'utopia

nina vola

Una Canon, un bastone e un’utopia
Simona Caruso
In principio era una macchina fotografica. Così si chiamavano un tempo, e avevano l’obiettivo piccolo,  il rullino Kodak, e lo zoom che usciva e rientrava.
Io ne avevo una un po’ più moderna, verso il 16 anni la portavo quasi sempre con me, l’ultimo scatto era sempre una pugnalata al cuore ma la gioia ricominciava quando toglievo il rullino per portarlo dal fotografo che aveva espsti poster di spose e bambini in abitino bianco o vestiti in maschera. Scatti eccezionali, unici, che non potevi cancellare. La camera oscura, la dedizione nell’arte di fotografare e di sviluppare immagini. Il prezzo eccessivo le dimensioni piccole che riuscivi ancora a vedere quasi bene.
Le mie prime fotografie raffigurano i miei amici, le nostre scampagnate, le gite, le feste di compleanno con tutti i parenti, il coro della chiesa, i primi baci…
La mia ultima “macchina fotografica” risale a 17 anni fa. Era il matrimonio di mio fratello, io facevo da testimone e come regalo chiesi una nuova macchina fotografica. Era già più moderna, leggera e fighissima ma sempre con l’obiettivo su cui poggiare l’occhio. Iniziavo ad avere difficoltà ad inquadrare gli oggetti ad adattarmi facilmente alle variazioni di luce. Poi un giorno si ruppe, la tenni per ricordo e ne comprai una moderna che non si chiamava più macchina fotografica ma il suo nome si era rivoluzionato in “fotocamera digitale”. L’dea di poter vedere l’immagine su uno schermo, di poter selezionare più immagini, di avere la possibilità di scatti infiniti, mi faceva sentire dio. La tecnologia ti da questa sensazione di onnipotenza che soprattutto i primi tempi non ti fa dormire la notte. La mia prima fotocamera digitale mi ha visto in numerosi scatti, non più di persone e di eventi straordinari, ma di natura, paesaggi, oggetti, animali, particolari… ricordo il mio interesse per i cancelli, i reticolati, i muretti in pietra, le insenature dei sassi. Scatti, quanti, non saprei forse migliaia…
Mi piaceva la luce del crepuscolo, quella che dipinge il cielo di un azzurro intenso e lunghe pennellate di rosso arancio. Ricordo una nave sul porto di Siracusa, il riflesso di questa sul mare, il tramonto alle spalle. Ed i sassi, quanti sassi ed un cancello nel nulla a delimitare un confine immaginario ed una rete per proteggere un orto. E l’immagine di due cani identici affacciati con i musi fuori le sbarre di una ringhiera, simmetrici guardano in direzioni opposte.
Ed oggi, con il mio telefonini provo ogni tanto a fotografare il mondo e mi stupisce sempre e mi piace, mi diverte, mi affascina ancora. Oggi mi affascina il mistero dietro ai miei scatti. L’altro giorno mi trovavo al Luna Park, uno di quei luna park che sostano in città e così come il circo fanno impazzire grandi e piccini. Giostre, musica a tutto volume diversa per ogni attrazione, bambini che corrono e che urlano in ogni dove. Un gran bel casino. Il sole non è così alto ormai, sono le 6 del pomeriggio e c’è quella luce, quella che continuo ad amare ancora oggi, che un po’ mi mette in ansia perché so che qualche secondo dopo questi colori meravigliosi giungerà per me l’oscurità. Mia figlia sale sui materassi rimbalzanti, si diverte, vola, ride (la sento ridere) vedo che si sposta su e giù legata a delle corde. Non riesco a vedere i suoi particolari, il suo volto, non riesco a vederla nell’insieme e non riesco a percepire nemmeno tutto quello che ho intorno,non riesco a vederla bene perché non posso sentire bene a causa del volume troppo forte della musica. Ma mi sembra ugualmente un’immagine meravigliosa così, come la vedo nella mia mente. Allora prendo il telefonino, indovino dove si trova la fotocamera, il contrasto luce mi permette di vedere l’immagine che si alza e si abbassa di mia figlia. Scatto. Il trucco, dico per farmi vedere esperta, è quello di scattare quando sta giù, così l’immagine viene impressa esattamente nel momento in cui si trova sospesa in aria. Sì, mi sento grande solo per questa intuizione. Faccio una due tre un sacco di foto. Poi torno a casa, rivedo le foto ingrandite una per una. Spettacolari! Vedo il sorriso di mia figlia che ha lo sguardo rivolto verso di me, l’immagine non è nemmeno sfocata. Fantastica!
Decidiamo di andare via dal Luna Park che è già buio, per me, non vedo niente, è un posto nuovo, devo prendere ill bastone!
Ma se ho appena scattato delle fotografie?
Ma intanto non ci vedo più. Non è più come poteva essere qualche ora fa (anche se pure qualche ora fa avrei comunque avuto bisogno del bastone).
Sì, tanti “colleghi” per definirli così non comprendono perché tante paure a prendere un bastone bianco se poco prima ci eravamo concessi degli scatti. Altri addirittura si indispettiscono perché hai avuto la fantasia di fotografare (per molti ciechi l’immagine è un tabù come il sesso per i bigotti) ed altri ancora ti dicono che dovresti intercettare gli sguardi meravigliati e fare una propaganda di informazione spiegando come sia possibile l’arcano. Quando invece tu, molto semplicemente vorresti essere soltanto libero di vivere.
Ho sempre sognato questa immagine, una donna, una turista, con berretto da turista e occhiali arancioni, passeggia su di un sentiero. Con la mano destra regge il bastone che fa oscillare o ruotare da una parte all’altra e a tracolla poggiata sul cuore una Canon, una di quelle con il grandangolo. E pensa a ciò che dovrà fotografare, non pensa a nient’altro. un sogno, una utopia. Cosa accadrebbe oggi se qualcuno pensasse di fare una cosa del genere? Forse niente, forse passerebbe inosservato o forse qualcuno vedendolo penserebbe “falso cieco!” e nel peggiore dei casi glielo urlerebbe contro, perché ormai le persone sono diventate brutte e cattive e non si preoccupano di ferire con le parole.
Ma finchè ancora ci riuscirò, in un modo che non riesco a spiegarvi, io proverò a fotografare, meravigliandomi di quelle immagini che inconsapevolmente ho afferrato e di tutte quelle cose che ho visto solo con la mia mente impresse nella mia anima.
L’immagine è una poesia muta diceva Leonardo,ed è proprio così, è il riflesso della vita dentro di noi

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