Un pesce d'aprile che inizia con la A
Sto pensando che, è brutto dirlo, data la situazione, ma sono contenta che questo primo di aprile lo trascorreremo in casa. Non siamo costretti ad andare a scuola e far finta che ci piacciono gli scherzi del primo d'aprile. Hanno tentato in tutti i modi di farci comprendere che gli scherzi li dovevamo proprio comprendere, che con il tempo li avremmo compresi. Ci dicevano "ma a casa vostra non scherzate mai?", che è un modo sottile (nemmeno troppo) di farci sentire in colpa. Il fatto è che gli scherzi lei proprio non li capisce. Non solo non li capisce ma la fanno sentire a disagio, triste, arrabbiata. So che voi non riuscite a capirlo e che pensate che si tratti solo di un capriccio, solo perché è viziata oppure perché è suscettibile. Ma lei è così. In questi mesi proiettata in questo nuovo mondo, ho compreso tante cose persino sulla mia disabilità visiva. In che senso? Mi direte voi. Beh, prima di avere una diagnosi sembrava cosa fondamentale l'omologazione di mia figlia al resto della società. Per insegnanti psicologi e quant'altro lo scopo principale sembrava essere quello di camminare al pari con gli altri. Se tutti fanno così lo devi fare anche tu. Questo le dicevano. Così come esistono molti modi di vedere e non vedere, esistono molti modi di essere. Così come vi è difficile comprendere la mia disabilità visiva vi è incomprensibile accettare il fatto che una persona che non è muta, non è ritardata e capisce la storia così come la capisci anche tu, possa essere autistica. E così il mondo dei parenti, degli amici, il mondo che ci circonda, si divide tra negazionisti, complottisti e tragico moralisti. La verità è che la diagnosi di mia figlia io l'ho conosciuta da sempre e ho sempre pensato al di là del nome e di un'etichetta che la sua più grande sofferenza era quella di non essere compresa. La sentivo come un'estranea a questo mondo. Lei non riusciva a comprendere molti meccanismi di relazione e parallelemente gli altri non riuscivano a comprendere lei. Adesso camminiamo con più consapevolezza verso la strada dell'autostima, della comprensione e soprattutto della felicità. Al di là del nome che si voglia dare: autismo, Asperger, adhd... Io credo molto più semplicemente che le persone debbano essere comprese e rispettate sempre per quello che sono. C'è una frase molto bella che voglio condividere con voi, pronunciata da una delle professoresse straordinarie di mia figlia: se un alunno ha bisogno di aiuto, io lo aiuto a prescindere dalla diagnosi. Il concetto molto semplice è questo: posso provare a farti comprendere quanto siano divertenti gli scherzi, ma se alla fine a te non divertono e se dopo tanto tempo non riesci a comprenderli devo accettarlo e basta semmai posso aiutarti ad attuare tecniche di sopravvivenza di fronte ad uno scherzo. Insomma alla fine se c'è una cosa che ho compreso in tutti questi anni molto in salita della mia vita, è che tutti possiamo imparare gli uni dagli altri con un unico scopo imprescindibile: ESISTERE
Vivere, sognare e lottare con la retinite pigmentosa
Attraverso le mie mani posso vedere là dove i tuoi occhi non potrebbero mai arrivare......
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mercoledì 1 aprile 2020
giovedì 5 marzo 2020
Sogni: volare su palloncini colorati
E' da tanto che non aggiorno l'etichetta dei sogni. Il sogno che sto per raccontarvi sarà stato
sicuramente ispirato alla vicenda terribile ascoltata (mio malgrado) ieri sera
su “chi l’ha visto?”. La premessa numero uno è la seguente. La triste
vicenda del programma TV raccontava di una donna "caduta" dal quinto piano di un palazzo.
La premessa
numero due è che per la prima volta sogno un balcone e non ho paura, nonostante questo sogno sia nato (probabile) dalla notizia di una morte tragica ascoltata in TV. Il balcone nel mio
sogno diventa un simbolo di libertà e non di morte.
Mi trovavo
nella mia casa d’infanzia, nel salone. Ero circondata da palloncini colorati, alcuni da gonfiare, altri già gonfi. Decido di unirli tutti insieme ad uno spago per potermelo legare alla
vita e provare l’ebrezza del volo. In realtà più che svolazzare speravo di
poter discendere dal settimo piano in cui mi trovo, fino al cortile planando
lentamente. Faccio un po’ di calcoli, mentre lego i palloncini allo spago: calcolo
di potermi riposare tra un piano e l’altro appoggiandomi alla ringuera dei
balconi. Poi, siccome anche nei sogni sono altruista penso di scendere (prendendo le
scale) e avvisare le persone che stanno in quel momento nel cortile di non
preoccuparsi di ciò che vedranno da lì a poco, che non si tratta di una tipa che
sta per compiere un terribile gesto ma sono io, che ho deciso di volare legata
ad alcuni palloncini colorati. Le persone mi guardano perplessa (da notare che
in questo sogno decido di prendere le scale e non l’ascensore). Risalgo velocemente
e continuo il mio lavoro. I palloncini mi sembrano in realtà molto piccoli e mi
chiedo se riusciranno a sorreggermi per sette lunghi piano ovvero venti lunghi
metri. La sensazione è di gioia profonda e infantile, senza considerare il
fatto che nella vita reale soffro terribilmente di vertigini e non mi affaccio
quasi mai da un balcone, semmai da una finestra ma da un balcone, al settimo
piano, proprio mai. Finisco il mio lavoro con i palloncini pronta
a provare questa meravigliosa esperienza. Lego lo spago (nemmeno tanto
resistente) alla vita, esco fuori sul balcone e osservo i palloncini colorati
che iniziano ad agitarsi nel vento. Prima di partire mi ricordo che c’è un
piccolo palloncino a elio in casa e che potrebbe servirmi se per caso decidessi
di tornare indietro (pensiero assurdo). Così decido che tenendolo con la mano
destra non mi impedirà di scendere, mentre mi farà risalire tenendolo con la
mano sinistra. Bene, quando è tutto pronto scavalco la ringhiera e via. Come
avevo immaginato la sensazione non è quella di precipitare ma di planare, ed è molto
piacevole. Supero il sesto piano, supero il quinto, dove ci sono alcuni panni
stesi che essendo bagnati mi si appiccicano in faccia , sento il profumo intenso di ammorbidente e aria fresca
di mare e di fiori. Sembra tutto perfetto ma, giunta al quarto piano i
palloncini iniziano a scoppiare, non tutti insieme ma uno ogni tanto. Lancio un'occhiata allarmata alla prima esplosione, in quel momento sento che precipito, passo il palloncino a elio nella mano sinistra
ma questo si sgonfia lentamente. Il tempo si ferma, non precipito, non salgo ma rimango
sospesa tra il quarto, il terzo piano e il cemento. Cerco di raggiungere la
ringhiera del quarto piano ma sono troppo distante. La ringhiera del terzo
piano sta in basso e non voglio abbassare lo sguardo per guardarla, tendo le
braccia verso il quarto piano ma niente da fare. Il vento si è fermato e con
lui ogni bella sensazione. In quel momento penso a Davide e ai suoi possibili pensieri
mentre si trovava tra il quarto piano e il cemento del cortile, e mi chiedo: “porca
vacca perché dovevo pensare proprio a lui?”. Nel sogno il mio campo visivo si
apre e mi sembra di vederlo, Davide, con la coda dell’occhio sinistro, proprio
nella mia stessa posizione, davanti a quel palazzo accanto al mio, solo che lui
non è legato a niente, non ha nessuna speranza se non quella di un misterioso
arresto temporale. Mi sento terribilmente triste, osservo rassegnata i palloncini che
stanno per sgonfiarsi o che esplodono. Il palloncino ad elio inutile e
sconfitto sembra volermi rimproverare, e lì tutto floscio che mi dice: "ma chi te l'ha fatto fare?", ma proprio in quel momento accade una cosa misteriosa, tipica dei
sogni. Il palazzo si avvicina a me. Lo sento meno distante, riesco a percepire
la sua vicinanza e di nuovo il profumo di ammorbidente e il vento. Stendo le
braccia più che posso e raggiungo la ringhiera del quarto piano. Mi aggrappo,
scavalco e sono salva. Mi libero di quei maledetti palloncini, mi sento mille
sospiri di sollievo riempirmi i polmoni. Prima di entrare nell’appartamento di
quel quarto piano porto lo sguardo verso il palazzo a fianco. Davide non c’è più.
Non ricordo
cosa ho pensato ma dato che si trattava di un sogno, spero che almeno in quel sogno si sia potuto salvare.
martedì 27 agosto 2019
leggere scrivere e noi attorno
Ci sono
storie e storie e ci sono poi intrecci di storie.
La ragione
per la quale mi piace raccontarvi alcune cose che mi accadono è perché le
ritengo importanti non soltanto per me che le scrivo e che le ho vissute, ma
anche per voi che mi leggete.
Comincio col
dire che, nonostante tutto, sono stata una persona fortunata. Ho avuto la fortuna
di circondarmi di situazioni e persone belle che ho scelto volutamente ma a
volte sì, sono piovute dal cielo. Ho avuto la fortuna di incontrare persone
potenti, empatiche, rivoluzionarie, uniche, fondamentali, che hanno fatto e
continuano a fare la storia del nostro Paese. Instancabili. Forse per voi le
fortune sono altra roba, come avere una bella casa, un bel lavoro, la salute,
tanti amici, essere popolari, l’aperitivo il fine settimana e così via, ma sono
certa che la fortuna sia un’altra cosa. Potrebbe essere, ad esempio, vivere in
un intreccio di persone che sanno cambiare il mondo. Non voglio scrivere il
diario di ciò che ho fatto in questi due giorni durante un workshop in un posto
lontano dal mondo, ma voglio condividere con voi innanzitutto una frase, che ho
sempre portato dentro, da qualche parte per tutto questo tempo e l’altro giorno
come per magia è venuta al mondo, dalle parole di Erica:
“Scrivere è
fare politica”
Intendiamo
il significato “politica” nella sua accezione più pura e così, come una
successione di ricordi, sensazioni e letture, mi sono venuti in mente gli
uomini e le donne, che hanno fatto POLITICA scrivendo, e che per questo amo
profondamente:
Pier Paolo
Pasolini, Proust, Neruda, Sepulveda, Alda Merini, Hugo, Kafka, Umberto Eco, Dostoevskij,
Hannah Arendt, Virginia Wolf, i fratelli Grimm, Thomas Mann, Erri De Luca…
Leggo tutti
questi nomi (e ce ne sono molti altri) e penso che non sarò mai una scrittrice così,
ma sono certa in un preciso momento, io e loro, abbiamo condiviso qualcosa e di
questa cosa sono terribilmente orgogliosa. Scrivo da quando avevo soltanto sette
anni e sapevo scrivere tanto e male, scarabocchiando e riempiendo quaderni e quaderni
di orrori e refusi. Ero incosciente e affamata di storie. C’era questa cosa che
mi costringeva ogni giorno a sedermi alla mia scrivania e prendere una penna in
mano. Avevo il callo dello scrittore sul dito della mano sinistra, ne ero orgogliosa
più di ogni altra cosa. Nasceva in me come una fiamma e scorreva dal cuore al
braccio, dal braccio alla mano, dalla mano alla penna, dalla penna all’inchiostro,
dall’inchiostro al quaderno. E infine esplodeva e dal momento in cui esplodeva
il mondo attorno cambiava. Ecco, è questo ciò che penso mi accomuni a tutti
coloro che hanno amato e amano scrivere.
In questi
giorni ho avuto la fortuna immensa di poter condividere questo stato di grazia
insieme ad altre persone, folli, come me. Una manica di “malati di libri”
trascinati lì dalla voglia di scrivere, di leggere, di condividere, di
raccontare, di esserci, di dare più che di ricevere ed infine di ricevere, con
umiltà, come è giusto che sia.
Ma voi mi
capite quando dico che ho avuto la fortuna di essere circondata da persone
intelligenti? Sì, per me è una fortuna, è così difficile oggi trovare un briciolo
di intelligenza in giro! Mi riferisco alla capacità di voler conoscere il
mondo, non al grado di scuola frequentato e poi, sì, dai, anche a quello ma
soprattutto alla capacità, al desiderio più che altro, di conoscere. Non ho
dovuto faticare per far comprendere la mia diversità e io stessa non ho dovuto
faticare per comprendere le peculiarità di ognuno, ed ho compreso che non
esisto soltanto io e i miei dannatissimi limiti, ma esiste l’altro, che non è
mai così come vorremmo, ma spesso è anche meglio. Non ho mai patito la solitudine,
che invece mi capita di sentire in contesti più famigliari; non ho mai dovuto
chiedere e non ho mai dovuto chiedermi “ma avrò fatto bene a venire qui?” come
invece è capitato di fare in ambienti in cui la disabilità era l’unica cosa in
comune; non ho mai sofferto per i miei limiti, non ho mai pianto per non poter
fare qualcosa (e non è una cosa normale per una persona come me che spesso si ritrova a non poter
fare qualcosa), e di tutto questo stato di grazia e di amicizia e di empatia
ringrazio profondamente le persone che
hanno vissuto insieme a me in questi giorni.
Non è
semplice comprendere “come fare” quando ti trovi di fronte ad una persona
diversa da te e molti per paura preferiscono non avvicinarsi e non è semplice,
in un mondo di stereotipi, comprendere che una persona possa utilizzare un
bastone per ciechi (ed ipovedenti) e contemporaneamente scrivere con un pennarello e leggere.
Non è facile,
ma loro ci sono riusciti. La difficoltà più grande che ho riscontrato durante
la mia esistenza è stata sempre quella della comprensione. Durante la
presentazione, Venerdì, ho spiegato in due minuti, e non di più, tutto ciò che
è importante spiegare quando incontro persone nuove e nessuno ha fatto la
battuta idiota del signor Massimo Giletti quando ho detto che in determinate
situazioni di poca luminosità divento cieca del tutto, così come accade al
tramonto. Il Giletti rise dicendo “Anche io non ci vedo al buio” senza capire
che un conto è il buio un altro la poca luce (come quella dei faretti) con la
quale tutti riescono ad avere percezione delle cose. Sono stati indubbiamente
grandiosi per aver compreso e basta senza farmi mai sentire a disagio o con gli
occhi puntati addosso. Ho visto piuttosto molta solidarietà e di questo ne sarò
sempre grata.
Infine, e
questo messaggio lo rivolgo ai miei “colleghi” di disabilità, ci tengo a
comunicarvi questa mia certezza: spesso vi lamentate perché incontrate persone
che vi trattano male, spesso vi trovate male in contesti in cui siete tra
persone “normali” e anche tra vostri “simili”… mi viene da pensare che forse,
tanto, dipende da voi. Se vi ponete con gentilezza e non con quella presunzione
e quella durezza d’animo che abbiamo spesso noi “disabili” forse le persone
avranno piacere di aiutarvi. Dicendo questo mi rendo conto che si dovrebbe
aprire un altro discorso e non finirei più di scrivere. E’ vero, viviamo in un
mondo in cui è difficile essere diversi e spesso, tante volte, essere autonomi
ed indipendenti a causa di mille barriere, architettoniche e mentali e questo
ci fa molto arrabbiare, giustamente. A volte però ci troviamo in un contesto di
persone che vogliono aiutarci tra mille barriere e difficoltà. E’ come la
storia del fumatore senza accendino di cui parlava Silvia: nessuno è più
socievole di un fumatore senza accendino, così allo stesso modo anche un limite
ed una difficoltà possono essere un punto di partenza per istaurare rapporti di
conoscenza che possono cambiarci la vita. Anche in questo caso ci vuole
intelligenza, sensibilità ed empatia, stavolta da parte “nostra”.
Simona Caruso
Simona Caruso
mercoledì 26 giugno 2019
27 Giugno 2019 giornata delle persone sordocieche
In occasione
della giornata delle persone sordocieche voglio raccontarvi di me, di Cinzia e
della sindrome di Usher.
Per una
serie di ragioni, mi sono ritrovata a interessarmi in modo più attivo alla mia
patologia e alla disabilità sensoriale visiva dall’Estate 2014. Conobbi molte
persone, virtualmente ma non solo. Nella mia stessa città, a pochi chilometri
da me, vive Cinzia.
Venne a casa
mia un pomeriggio di quell’Estate insieme alla sua mamma e dato che era la
prima volta che ci incontravamo parlammo molto. Lei aveva quel modo unico di
parlare che hanno le persone con la sindrome di Usher. Mi raccontò la sua
storia che inizia con una lunga processione per accertare, verso i cinque anni
un’ “ipocausia”ovvero difficoltà a sentire. La prima cosa che si fa allora è
quella di acquistare delle protesi acustiche che alcune mamme nascondono dietro
i capelli lunghi, altre no. Bisogna fare logopedia per imparare a pronunciare
bene le parole e sviluppare tutte quelle tecniche per poter comunicare al
meglio con le persone. La prima tecnica di comunicazione che viene utilizzata
dalle persone sorde è sicuramente la “lettura labiale”. Insomma, la disabilità
per Cinzia è per lo più un fatto di comunicazione. Con il tempo però si
individua un aspetto mai compreso prima: difficoltà a vedere bene o del tutto
in determinati condizioni di luminosità e non solo. Cinzia, ad esempio, non vede bene la sera, non vede bene i
contrasti, i gradini e con il tempo non vede bene lateralmente con il suo campo
visivo.
E così
inizia una nuova vita: la vita di una persona affetta da sindrome di Usher.
Fino a quel
pomeriggio del 2014 io non mi ero mai resa veramente conto della mia grande
fortuna nel poter sfruttare l’udito. Mi vantavo spesso della mia capacità di
individuare gli oggetti che cadevano senza dover fare lo sforzo di cercarli con
gli occhi o ripulire il pavimento con le mani. Se mi cadeva una forchetta io mi
abbassavo e la mia mano andava esattamente nel punto in cui l’avevo sentito cadere.
Certo la stessa cosa non si può fare con oggetti che rotolano o sono talmente leggeri
da spostarsi da una parte all’altra alla velocità della luce. Insomma, era
scontato per me il fatto che chi non riuscisse a vedere bene, o del tutto, si
aiutava con il secondo importante senso tra i 5 sensi: l’udito.
Per la prima
volta mi resi conto di questa realtà che non avevo mai preso in considerazione
prima, avevo sempre pensato ai sordociechi come persone che nascono una tantum;
avevo visto un film “Anna dei miracoli” in cui la bambina è del tutto sorda e
del tutto cieca, ma non avevo mai pensato a quelle vie di mezzo che accadono
invece molto di frequente in Italia e in tutto il mondo. Da quel pomeriggio
insieme a Cinzia, ho incontrato sempre più persone con la sindrome di Usher:
alcune con l’impianto cocleare, altre con le protesi ed altre ancora senza
protesi con enormi difficoltà di comunicazione.
Quelle rare
volte in cui mi è successo di trovarmi in un posto super affollato con la
musica altissima mi sono resa conto delle grandi difficoltà che devono
affrontare quotidianamente le persone sordocieche. Non poter avere il senso
dello spazio che chi non vede percepisce con l’udito; non riuscire ad afferrare
al volo non solo uno sguardo ma anche un saluto, un richiamo, una parola… E pensare
che questa che è tra le più gravi disabilità sensoriali, non viene nemmeno
riconosciuto nel modo giusto in cui dovrebbe essere riconosciuta, per legge! Ed
è proprio per questa ragione che una giornata dedicata alle persone sordocieche
non può bastare. Oggi perciò oltre a leggere queste parole, che raccontano un’esperienza
seppur indiretta con la sordocecità, vi invito a visitare la pagina Sordocecità
per la modifica della legge 107/10 e di leggere attentamente le conseguenze
della doppia minorazione vista-udito sulla vita delle persone che ne sono
colpite, e vi invito a soffermarvi sulle inadeguatezze di una legge italiana
che non rispetta la gravità di una disabilità come la sordocecità.
-Cinzia lo
sai che ieri ho incontrato tizio caio sempronio e poi tizio mi ha detto che
caio… e l’altro giorno invece… ma ti rendi conto?! Io alla fine gli ho detto… e
insomma credo non sia giusto… storia della filosofia e storia medievale insieme
in un’unica sessione… capisci qual è il dramma? Cinzia? Cinzia ma mi stai
ascoltando?
- (Cinzia
voltata di spalle che prepara il caffè si gira verso di me con la faccia a
punto interrogativo e la tazzina in mano) Ma stai parlando con me?? Minchia ma
lo sai che quando sono girata di spalle non ti sento!!
venerdì 21 giugno 2019
ADDIO E GRAZIE PER TUTTO IL PESCE! intervista ad un'alunna di quinta elementare nel giorno delle pagelle
ADDIO
E GRAZIE PER TUTTO IL PESCE!
intervista ad un’alunna di quinta elementare nel giorno delle
pagelle
- E’
terminato il primo ciclo di scuola dell’obbligo, quella che si definisce “scuola
primaria”. Quali sono le tue impressioni, così, a caldo?
- Beh,
diciamo che è stato un inferno e sono felice di andarmene in un’altra scuola
anche se mi mancherà la maestra M e la storia
- La
storia si insegna anche alle scuole medie
- Ah!
- Hai
detto che è stato un inferno, sai definire la parola “inferno”?
- Certo! Bambini
che urlano, per tutto il giorno, continuamente. Si arrampicano sugli armadi,
prendono a parolacce le maestre, insultano i compagni chiamandoli negra,
mongoloide, spastico, tu non sei normale… E considera che soltanto una maestra
riesce a farsi ascoltare…
- Da cosa
dipende secondo te il fatto che riesca a farsi ascoltare
- E che ne
so, forse perché ci conosce dalla prima elementare?
- E le
altre maestre?
- Ho
cambiato più maestre che scarpe in questi 5 anni
- Qual è stato
l’anno migliore
- La
seconda elementare
- E l’anno
peggiore?
- La
terza. La terza elementare è stato l’anno peggiore in assoluto. Avevo costantemente
l’emicrania, pensavo che la mia testa potesse esplodere da un momento all’altro
e la mia voglia di vivere era finita del tutto
- Qual è l’insegnamento
migliore che hai ricevuto in questi 5 anni?
- A me
piace la storia, mi è piaciuto molto studiare le città di Sparta e Atene
- Intendo
un insegnamento di vita, qualcosa che è servito per la tua crescita e ti
servirà anche per il futuro
- Che
bisogna rispettare gli altri e non usare la violenza
- La cosa
più bella che qualcuno ha fatto per te (compagni o maestre)
- Una
volta G mi ha regalato un disegno bellissimo
- Una cosa
bella che hai fatto tu?
- Dividere
la mia merendina con C che l’aveva dimenticata e piangeva, e alla fine siccome
aveva troppa fame gliel’ho data tutta
- Cosa ti
aspetti dalle scuole medie
- Studiare
tutto il pomeriggio e poi finalmente ci insegneranno a disegnare come si deve,
con le teniche da disegno serie
- Sei
soddisfatta di questa pagella?
- Sì beh,
diciamo, ho avuto dieci in informatica e nove in inglese, sì direi di sì, anche
se a me la storia piace tanto… otto… ma va bene!
- Sono
solo numeri! Il giudizio ti piace?
- Ho
cercato su Google il significato della parole discontinuo perché non lo capivo.
Ho fatto troppe assenze? Maledette adenoidi!!!
- Nove
in Inglese, benissimo! Dimmi una frase in Inglese
- Listen to me, mom!
I’m talking in english very well
- Cosa
vuoi dire ai bambini che si apprestano a frequentare la prima elementare
- Che
devono essere sempre rispettosi sia con i compagni che con le maestre e
soprattutto che non devono mai abbattersi per le piccole cose
martedì 28 maggio 2019
sognando
Sono una
sognatrice compulsiva, credo di averlo detto centinaia di volte ma non mi
stanco mai di ripeterlo. Sogno tantissimo, mentre dormo e soprattutto mentre
sono sveglia. Stanotte ho dormito poco ché sono stata tormentata dal
risultato delle elezioni e dal mal di testa, ma durante quelle poche ore di
sonno ho fatto un sogno dei miei, uno di quei sogni simpatici che mi piace raccontare.
Ero ad una cerimonia, luogo sconosciuto e situazione insolita. C’erano persone
famose, lampadari di cristallo, banchetti di cocktail e
antipasti e per fortuna tanta luce. Indovinate chi era la protagonista della serata? Proprio io. Essendo
un sogno in soggettiva, ahimè, non sono riuscita a vedere come fossi conciata
per l’occasione. Spero di essere stata per lo meno decente, che
qualcuno sia riuscito a truccarmi e che non abbia avuto ai piedi le solite
scarpe da ginnastica. Tra un convenevole e
l’altro con persone a me sconosciute, mi ritrovo sul palco, o quello che doveva
essere un palco, tra gli applausi. Comprendo, nello strano modo di comprendere
dei sogni, che si tratta di un premio per la migliore sceneggiatura. La cosa mi
rende ancora più felice, era stata per me una sorpresa, come se qualcuno mi
avesse portato lì a mia insaputa - e a questo punto credo davvero di aver avuto
ai piedi le scarpe da ginnastica-. L’evento mi riempie così tanto di gioia che
non riesco a parlare e comincio a balbettare in uno straordinario e scorrevole
inglese. E mentre sono lì che balbetto qualcosa al cospetto di una presentatrice in abito lungo e
un qualcuno simile a Tim Burton dai capelli rossi, ecco che appare proprio al
centro del mio campo visivo Woody Allen! Lui è lui con tutti i suoi anni -di
solito l’ho sognato ancora giovane- e mi sorride. Così continuo a balbettare
frasi che fanno sorridere e ridere tutti i presenti in un misto di commozione e
tenerezza
<<I thing you are special>>
Dico
fissando Woody Allen negli occhi che stranamente riesco a vederli entrambi senza
dover scegliere tra l’occhio destro e il sinistro.
Poi lui mi
prende le mani, i miei occhi si trasformano formando cuoricini perchè
nonostante tutti I suoi anni, porca miseria, è il mio Woody Allen, l’uomo che
ha contribuito alla mia costruzione emotiva, immagine dell’altro e distruzione
sociale: il mio miglior psicoterapeuta insomma! Lui mi prende le mani e continuando
a guardarmi dice qualcosa che non riesco a capire ma faccio lo stesso di sì con la testa e sempre balbettando gli rispondo
<<I
love you>>
E poi mi
sveglio che una zanzara mi aveva punto sul naso!
giovedì 4 aprile 2019
Io scrivo
Io scrivo
Simona Caruso
Quanti ricordi il mio primo computer! Era grigio enorme e pesantissimo, composto da monitor, tastiera, mouse, casse. Era tutto nuovo e per me magico. Avevo esplorato con stupore Internet per la prima volta e avevo per la prima volta compreso la differenza tra i nuovi computer e il commodore64, ma soprattutto, il motivo per cui l'avevo comprato era ciò che veramente mi interessava e ciò poter scrivere nello stesso modo in cui sono scritti i libri. Avevo avuto una macchina da scrivere di quelle moderne e tecnologiche ma un computer sarebbe stato qualcosa di grandioso per me. Mi si apriva un nuovo mondo e un nuovo modo di scrittura. Avrei provato le stesse sensazioni che provavo sin dall'età di sette anni ogni volta che mi trovavo una penna tra le mani? Avrei provato quell'ardore indescrivibile che scaturisce dall'ispirazione e ti invade l'anima e poi finalmente esplode attraverso la tua mano fino a raggiungere un foglio? Le sensazioni sarebbero state indubbiamente diverse perchè l'atto grafico di scrivere è qualcosa che nessun altro strumento può eguagliare, eppure, da quel giorno, dal giorno in cui un computer entrò a far parte della mia vita, io non smisi mai di scrivere. Ero ancora molto affezionata alla penna e al foglio di carta con il suo frusciare ma di giorno in giorno la penna diventava sempre troppo chiara e scrivere con i pennarelli richiedeva un numero enorme di fogli. inoltre scrivere con uno schermo retroilluminato mi evitava tutti i fastidi che mi procurava invece la luce naturale e artificiale esterna. Il primo obiettivo doveva essere quello di imparare a scrivere il più velocemente possibile perchè scrivere lentamente faceva perdere l'entusiasmo e l'ispirazione. All'inizio cominciai a copiare, cercando di trovare il metodo più semplice per poter scrivere senza dover guardare la tastiera. Lo imparai da sola, per errori e tentativi. Imparai a scrivere utilizzando quattro dita: indice e medio di entrambe le mani. Mi ci volle davvero poco per poter imparare la tastiera a memoria e orientarmi senza dover guardare i tasti. Dopo qualche anno al corso di centralino mi insegnarono a scrivere con dieci dita, lo imparai ma per quanto la cosa vi potrà sembrare assurda io sono molto più veloce con le mie quattro dita.
Ci sono stati molti cambiamenti da allora, i miei caratteri su Word si sono ingranditi poco a poco, così come lo zoom della pagina, la grandezza delle icone, dei caratteri dello schermo e di internet. La mia voglia di scrivere quella non è cambiata mai. Spesso è la stessa voglia di scrivere che mi prendeva improvvisa in certi pomeriggi d'estate, quando tutti i bambini andavano in bici ed io restavo a scrivere per ore e ore, e niente riusciva a disturbarmi, nè le mosche in campagna, nè l'afa nelle ore più critiche. E anche oggi mentre fuori piove in questa primavera ancora fredda, trovo uno spazio in un mondo parallelo e scrivo e penso che tra i doni più belli che una persona possa ricevere nella vita, quello di scrivere è sicuramente tra i più belli e potenti
Simona Caruso
Quanti ricordi il mio primo computer! Era grigio enorme e pesantissimo, composto da monitor, tastiera, mouse, casse. Era tutto nuovo e per me magico. Avevo esplorato con stupore Internet per la prima volta e avevo per la prima volta compreso la differenza tra i nuovi computer e il commodore64, ma soprattutto, il motivo per cui l'avevo comprato era ciò che veramente mi interessava e ciò poter scrivere nello stesso modo in cui sono scritti i libri. Avevo avuto una macchina da scrivere di quelle moderne e tecnologiche ma un computer sarebbe stato qualcosa di grandioso per me. Mi si apriva un nuovo mondo e un nuovo modo di scrittura. Avrei provato le stesse sensazioni che provavo sin dall'età di sette anni ogni volta che mi trovavo una penna tra le mani? Avrei provato quell'ardore indescrivibile che scaturisce dall'ispirazione e ti invade l'anima e poi finalmente esplode attraverso la tua mano fino a raggiungere un foglio? Le sensazioni sarebbero state indubbiamente diverse perchè l'atto grafico di scrivere è qualcosa che nessun altro strumento può eguagliare, eppure, da quel giorno, dal giorno in cui un computer entrò a far parte della mia vita, io non smisi mai di scrivere. Ero ancora molto affezionata alla penna e al foglio di carta con il suo frusciare ma di giorno in giorno la penna diventava sempre troppo chiara e scrivere con i pennarelli richiedeva un numero enorme di fogli. inoltre scrivere con uno schermo retroilluminato mi evitava tutti i fastidi che mi procurava invece la luce naturale e artificiale esterna. Il primo obiettivo doveva essere quello di imparare a scrivere il più velocemente possibile perchè scrivere lentamente faceva perdere l'entusiasmo e l'ispirazione. All'inizio cominciai a copiare, cercando di trovare il metodo più semplice per poter scrivere senza dover guardare la tastiera. Lo imparai da sola, per errori e tentativi. Imparai a scrivere utilizzando quattro dita: indice e medio di entrambe le mani. Mi ci volle davvero poco per poter imparare la tastiera a memoria e orientarmi senza dover guardare i tasti. Dopo qualche anno al corso di centralino mi insegnarono a scrivere con dieci dita, lo imparai ma per quanto la cosa vi potrà sembrare assurda io sono molto più veloce con le mie quattro dita.
Ci sono stati molti cambiamenti da allora, i miei caratteri su Word si sono ingranditi poco a poco, così come lo zoom della pagina, la grandezza delle icone, dei caratteri dello schermo e di internet. La mia voglia di scrivere quella non è cambiata mai. Spesso è la stessa voglia di scrivere che mi prendeva improvvisa in certi pomeriggi d'estate, quando tutti i bambini andavano in bici ed io restavo a scrivere per ore e ore, e niente riusciva a disturbarmi, nè le mosche in campagna, nè l'afa nelle ore più critiche. E anche oggi mentre fuori piove in questa primavera ancora fredda, trovo uno spazio in un mondo parallelo e scrivo e penso che tra i doni più belli che una persona possa ricevere nella vita, quello di scrivere è sicuramente tra i più belli e potenti
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